L’integrazione possibile, l’Iftar in piazza 

Per iniziativa della comunità marocchina un banchetto pubblico per interrompere il digiuno con il pasto serale

Un momento conviviale all’insegna della condivisione, dell’incontro e della spiritualità per celebrare insieme l’Iftar, il pasto serale che, dopo la preghiera, interrompe il digiuno durante il Ramadan. Questo lo spirito del banchetto pubblico organizzato domenica 4 giugno a Bellizzi, in piazza Giovanni XXIII, da una decina di donne di origini marocchine che vivono tra Salerno e provincia. L’iniziativa ha riscosso grande successo: oltre un centinaio di persone, per lo più connazionali, hanno preso parte all’abbondante cena; tra di loro, alcuni residenti del quartiere.
L’iniziativa. Durante il mese sacro, iniziato quest’anno il 27 maggio, i fedeli islamici si sforzano di migliorare il proprio comportamento per raggiungere il massimo livello di spiritualità possibile. Dall’alba al tramonto si astengono quindi da cibo, bevande e piaceri fisici quali fumo e sesso, ma anche da sentimenti negativi quali rabbia e impazienza; nello stesso tempo, sono tenuti ad essere maggiormente generosi con il prossimo. Un periodo fortemente sentito e atteso dalla folta comunità marocchina salernitana – 9.148 i residenti in provincia di Salerno al 1° gennaio 2016 – che quest’anno, grazie all’impegno delle sue donne, si è mobilitata pubblicamente con un’iniziativa apprezzata finanche del Comune di Bellizzi, che ha messo a disposizione la piazza. «In zona ci sono tantissimi giovani di fede musulmana che, in cerca di un futuro migliore, si trovano lontani dalla propria terra e dai propri affetti. Per alleviare il loro disagio – spiega Sara Moutmir, 22 anni – abbiamo deciso di organizzare questa serata di condivisione, così da farli sentire meno soli». «L’idea è nata sulla scia della Festa dei popoli – spiega Bahia Lahboub, insegnante di arabo presso l’Asei school Salerno – L’evento di questa sera rappresenta quindi la naturale prosecuzione di un percorso partecipato fatto di dialogo e conoscenza reciproca con il Paese che ci ha accolto, ma anche con le altre comunità straniere».
La preghiera. Mentre le organizzatrici sono alle prese con gli ultimi preparativi, cala il tramonto: sono le 20:26, è arrivato il solenne momento della preghiera. Gli uomini, guidati dall’imam, si riuniscono in un punto della piazza per stendere i tappeti e togliersi le scarpe, delimitando poi alla buona con delle sedie lo spazio dedicato alla funzione. Il caratteristico rituale, composto da una serie ripetuta di movimenti, inchini e prostrazioni, si esaurisce nell’arco di pochi minuti; con un dolce e carnoso dattero, i fedeli ufficializzano la rottura del digiuno.
La cena. La piazza si è trasformata in un grande ristorante a cielo aperto. I tavoli sono ricolmi di pietanze che si rifanno alla cucina tradizionale del Marocco: mhajebs, una sorta di piadina salata, e m’semmen, che ricorda le crèpes, salame di tacchino, zuppa di legumi, ma anche pizze fritte, a sancire uno scambio culturale che si riflette persino sul piano gastronomico. Il tutto innaffiato da thè alla menta, latte e succhi di frutta. Come dessert, il chebakia, delizioso dolcetto al miele con semini di sesamo, preparato per ricorrenze importanti come il Ramadan. Tra gli ospiti della tavolata ci sono alcuni residenti della zona, i quali convivono pacificamente da tanti anni con i marocchini, ma anche con le altre comunità immigrate, ad esempio gli indiani, radicatisi sul nostro territorio. «Sono dei gran lavoratori, educati e riservati – conferma la signora Concita – Vivo in un edificio dove i marocchini sono la maggioranza, ma non abbiamo mai avuto problemi significativi di convivenza. Il nostro rapporto è all’insegna della tolleranza e del rispetto reciproco, anche religioso». «Non è certo colpa loro se il lavoro scarseggia – aggiunge un’altra residente – I problemi vanno gestiti da chi ci governa, è a loro che dovremmo chiedere spiegazioni». Visibilmente stanche, ma sorridenti e soddisfatte, nei loro grembiuli colorati, le organizzatrici. «La giornata è stata estenuante, ma vedere tutta questa gente ci ripaga dei sacrifici fatti», sorride Najat Taribi, 34 anni e 2 figli, operaia alla Nappi Sud di Battipaglia. «Questo successo ci spinge a riproporre l’iniziativa, magari estendendo la platea degli inviti» rilancia Atika Mimti, dal 2005 in Italia. Il dialogo interreligioso. Tra i presenti anche il direttore dell’Ufficio Migrantes della Diocesi di Salerno-Campagna-Acerno, Antonio Bonifacio: «Abbiamo accettato con piacere l’invito della comunità marocchina, un gesto che conferma la bontà del cammino comune intrapreso da anni con l’equipe della Festa dei popoli – sottolinea Bonifacio – Di questa serata vorrei evidenziare due aspetti: la fede e il forte senso di comunità, fattori che facilitano l’inclusione di coloro che vivono da soli la difficile quotidianità del migrante».
Alberto Gentile
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