Il commento

L'incapacità di rispettare il prossimo

La storia di questa ragazza sedicenne di Sarno, violentata da un branco di minorenni, è purtroppo la storia di tante donne, sparse ai vari angoli del mondo

II selfie, le granite con le amiche del cuore, i rossetti fluo, i baci rubati ai primi amori. Il nastro dei sedici anni scorre veloce e non ti immagini che alle porte di una sera d’estate, qualcuno decida di sfregiarlo. Non uno così, che non conosci. Non uno di quelli “senza identità”, da cui bisogna guardarsi, come insegnano, nel rosario antico di un codice al femminile non scritto, le madri alle proprie figlie. Quel qualcuno è amico. E in quanto tale, depositario di una fiducia che nei vapori spensierati dell’adolescenza, è più forte, perché a digiuno di disillusioni. Una serata scanzonata, passo svelto per non tardare all’appuntamento. Poi un garage, il buio, il morso del branco che non è solo l’abuso sul corpo acerbo, ma ferita che brucia dentro, nella testa, nella pancia e nel cuore di chi sa bene che dietro una saracinesca sgangherata rischia di lasciare molto più di uno sguardo incantato sul mondo.  

La storia di questa ragazza è purtroppo la storia di tante donne, sparse negli angoli del mondo, “diluite” in un tempo che rischia di cancellarle, trasformate in quelle bolle sociali che le considerano “roba”, come direbbe il Mastro Don Gesualdo di Verga. Involucri da usare a piacimento, indipendentemente dalla loro volontà, e magari da postare sui social, modello trofeo, come accaduto non molto tempo fa in Brasile.

Perché violenza e sopruso sono parole a cui ci si è assuefatti, e svuotate del loro significato, non fanno più paura. E perché l’impunità è un diritto dato per acquisito quando l’azione, anche la più brutale, sembra essere dettata dalla più totale incoscienza, nel senso pienamente etimologico del termine: mancanza di consapevolezza di sé, in quanto giovane uomo che si affaccia a una vita di regole e sentimenti, rispetto e comprensione.

Una volta si chiamavano valori e semplicemente dire che non ci sono più è drammaticamente banale. Ma quando l’abuso di una coetanea viene ammesso con una certa nonchalance, quasi con stupefacente candore, è forse lecito chiedersi se i cinque minorenni che a turno le hanno usato violenza, abbiano chiaro che lo stupro è crudeltà, sopruso, soprattutto è un crimine che può avere diverse facce, punito, anche severamente, dalla legge. Un gesto atroce, che brucia più vite, consumato con inspiegabile leggerezza, nella noia anestetica di una serata da scavalcare.

Alla base, c’è la stessa incoscienza feroce che punta a umiliare il diverso, in classe come in strada. L’obiettivo sembra infatti (quasi) lo stesso: una prova di forza figlia del razzismo, se intendiamo il razzismo, come ci invitava a fare Lacan, in quanto odio nei confronti della libertà dell’altro. Un dato è certo: la storia di questa ragazza fomenterà luoghi comuni, così com’è accaduto per tante altre vite violate. Ci sarà certamente chi dirà che se l’è cercata, perché dell’incrostazione dell’Eva tentatrice forse, le donne non si libereranno mai: era il 450 a.C. quando Erodoto invitava a non darsi affanno per le rapite, perché se non l’avessero voluto non sarebbe accaduto. Oggi, sentirlo ripetere al tavolino di un bar, è più frequente di quanto si immagini.

Ci sarà poi chi punterà il dito contro famiglie assenti e scuole incapaci: non sappiamo se nel caso di specie sia così, ma investire tempo e risorse emotive in una educazione sessuale intesa, suggerisce Massimo Recalcati, come educazione alla legge della parola, sarebbe forse un primo passo per contrastare abusi e femminicidi, ma anche degradanti episodi di bullismo e ripetute raffiche di violenza nei confronti di chi è in una condizione di debolezza. «Di quanti esseri umani al mondo hanno anima e mente, noi donne siamo le creature più infelici». A parlare, nell’Atene del V secolo, era la modernissima Medea di Euripide. Oggi, dopo secoli di lotte per un’emancipazione sponsorizzata nelle sue declinazioni più comode e meno disturbanti, ma non ancora sufficientemente metabolizzata nelle sue radici più profonde, sarebbe bello poterla riscrivere felice.

©RIPRODUZIONE RISERVATA