L’impresa di Veneroso sulle rotte del “Leone” raccontata in un libro

Scritto a dieci anni dalla traversata dell’Atlantico «Il momento peggiore? Quando mi puntarono una pistola»

PISCIOTTA. Rivive in un libro la straordinaria impresa compiuta nel 2004 dal velista cilentano Pino Veneroso, maresciallo della guardia di finanza di mare in pensione: la traversata dell’Atlantico a bordo di uno sloop di nove metri, lo “Jutta”, in omaggio allo storico viaggio che nel 1881 tre emigrati italo-americani effettuarono, sulla rotta Montevideo-Caprera, a bordo del vascello “Leon di Caprera”, per raggiungere Giuseppe Garibaldi e consegnargli un’antica sciabola, simbolo della fratellanza e dell’unione tra gli uomini e le generazioni. Il libro-diario “Con lo Jutta sulla scia de Il Leone di Caprera”, scritto dallo stesso Veneroso, è stato presentato a Milano, nel Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”, nel padiglione che ospita la storica goletta.

Tutto ha inizio nel 1879, quando il capitano Vincenzo Fondacaro, di Bagnara Calabra, e i marinai Orlando Grassoni, di Ancona, e Pietro Troccoli, di Marina di Camerota, si ritrovano a Montevideo, tutti emigranti e con tanta nostalgia della patria. In omaggio a Giuseppe Garibaldi, che aveva vissuto in Uruguay, Fondacaro costruì una goletta di nove metri, il “Leone di Caprera”. È la prima imbarcazione a vela da diporto ad attraversare l’Atlantico, riportando nlla propria terra i tre uomini con fama e onore. Durante la traversata, il capitano Fondacaro scrive un diario di bordo, poi trasformato in libro, “Dall’America all’Europa”, in cui sono descritti i 116 giorni della traversata e alcuni aneddoti come quello della sciabola che avrebbero voluto portare a Giuseppe Garibaldi ma che, purtroppo, non fu loro affidata perché l’imbarcazione era così piccola da non offrire sufficienti garanzie che l’impresa potesse essere condotta a termine.

A 125 anni di distanza, nel 2004, Pino Veneroso, originario di Pisciotta, sullo Jutta, uno show 29 armato a sloop, decide di ripercorrere lo stesso tragitto e portare a compimento quel gesto rimasto sospeso, consegnando al pronipote dell’eroe, Giuseppe Garibaldi junior, nella banchina di Cala Gavetta, a La Maddalena, la sciabola dono della comunità italiana in Uruguay. Veneroso partì da Pisciotta e, dopo cinque mesi di navigazione in solitaria raggiunse il porto turistico Buceo, nel Rio della Plata, poche miglia a Sud della capitale. Alla traversata di rientro presero parte anche il sottufficiale della capitaneria di porto Gabriele Vita e il medico uruguayano Emil Kamaid.

«All’indomani della traversata – spiega Veneroso – si scrisse di me che avevo riacceso i riflettori sulla storia del “Leone”, ora intendo, con il mio scritto, ridare un’anima a quel leggendario legno. Ho sempre creduto che ciascuno di noi ha un debito generazionale da pagare. Con la traversata ho inteso saldare il mio debito al comandante Fondacaro, a Troccoli e a Grassoni».

L’impresa di Veneroso è dettagliatamente raccontata nel suo libro dove non nasconde le emozioni e le paure di una traversata da record. «Non è stata una passeggiata – racconta – Lungo la costa del Brasile, all’andata, in solitaria, mi sono confrontato con tre burrasche di Sud Ovest, il vento denominato “Frente frio” e generato dal mitico Capo Horn. Cinquanta nodi costanti che hanno rappresentato la prova più dura per la barca. Una notte, invece, una nave con le luci spente stava speronando la mia imbarcazione. Il momento più difficile però è stato la sera del 3 novembre 2003 quando sono rimasto per venti minuti con una pistola puntata alla testa. È stato un vero e proprio attacco piratesco alla mia barca. Avere lavorato nella Finanza di mare ha rappresentato un’esperienza preziosa per riuscire ad affrontare una situazione simile».

Vincenzo Rubano

©RIPRODUZIONE RISERVATA