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L’eredità contesa dei D’Amico e il ruolo del monsignore

Sul settimanale “l’Espresso” un servizio di tre pagine sulle divisioni familiari e gli interventi del religioso

“Chi trova un D’Amico trova un tesoro”. Si intitola così il servizio di tre pagine che il settimanale “l’Espresso” oggi in edicola dedica agli armatori salernitani D’Amico e ai loro intrecci con le attività finanziarie di monsignor Scarano. Sullo sfondo, ma non troppo, una lunga lite ereditaria che ha spaccato in due la famiglia e le attività d’impresa. Anche in questa vicenda il sacerdote soprannominato “monsignor 500”, per la grande disponibilità di banconote di grossa taglia, avrebbe giocato un ruolo. Nell’autunno del 2002, quando partecipò alla messa per il trigesimo di Antonio D’Amico, fu suo l’invito ai discendenti a non litigare per l’eredità, insomma a mettersi d’accordo. Il contenzioso finì nelle aule di Tribunale, ma nell’articolo su “l’Espresso” si sottolinea come il religioso fosse «così a suo agio con gli affari di famiglia da poter spendere la sua parola anche nelle questioni più delicate». D’altronde gli inquirenti ritengono che con Cesare D’Amico avesse addirittura un conto cointestato allo Ior, e lui stesso ha parlato di antichi legami d’amicizia e di “offerte” mensili da parte degli armatori. Di certo nella spaccatura interna alla famiglia si schierò con Paolo e Cesare, che undici anni fa, dopo la morte di Antonio D’Amico senza eredi diretti, rischiarono l’ingresso in società delle famiglie degli altri zii, con cui i destini imprenditoriali si erano da tempo divisi dando origine a sigle distinte. Dal contenzioso si uscì dopo una battaglia a colpi di carte bollate e laboriose trattative legali, concluse con la stesura di un elenco delle proprietà da dividere. I cugini Paolo e Cesare ebbero la meglio e si parla – rivela “l’Espresso” – di una loro offerta per rilevare i diritti ereditari degli altri parenti. «Chi accetta di vendere – si legge nell’articolo – in cambio dovrebbe firmare una liberatoria che escluda ogni futura rivendicazione su quello che non c’è nell’elenco, a cominciare dalle preziose azioni».

Se tutti hanno firmato la liberatoria non è dato saperlo. Gli armatori affermano comunque che monsignor Scarano «non si è mai occupato di questioni relative al gruppo aziendale», sebbene lui confermi che sono loro i 20 milioni di cui progettava un anno fa il rientro dalla Svizzera. «Una suggestione – scrive “l’Espresso – arriva dalle date: il rientro viene architettato da Scarano dieci anni dopo la scomparsa di Antonio. Esattamente il tempo che ci vuole per far decadere ogni possibile azione di rivalsa sull’eredità. Una suggestione, appunto».

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