L’eccezione positiva a metà 

La trasformazione della città “tradita” dall’inerzia degli operatori culturali

SALERNO. La metafora utilizzata dal designer Pino Grimaldi secondo il quale «Salerno si è dotata dell’hardware, ma manca del software per ottimizzare gli investimenti realizzati», è la perfetta sintesi del racconto sulla città racchiuso in uno dei capitoli del volume “Viaggio in Italia. Racconto di un Paese difficile e bellissimo”. Salerno, infatti è tra i territori, le regioni e le 39 città protagoniste del libro nato da un’idea del comitato di direzione della rivista “il Mulino”. Curato da Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata all’Università di Bari, e da Bruno Simili, vicedirettore della rivista, “Viaggio in Italia” è un percorso lungo la Penisola attraverso gli occhi e le riflessioni della rete di collaboratori del giornale che, per mestiere e per passione, quotidianamente, studiano e analizzano il Paese. Un nuovo viaggio duecento anni dopo quello di Goethe e sessanta dopo quello di Piovene che ha rivelato come sia ancora valida l’osservazione dello scrittore e giornalista che sosteneva che «l’Italia è sempre un Paese confuso, in cui quasi nulla appare con la sua vera faccia».
Il libro è un insieme di tessere di un mosaico da cui emerge una realtà più articolata rispetto a quella che viene regolarmente descritta da grafici e tabelle, con abbondanza di percentuali e cifre, ma che in realtà – paradossalmente – non si conosce se non in minima parte. Tante risposte a una domanda soltanto: siamo davvero un Paese alla deriva, destinato inesorabilmente a declinare, nonostante sacche più o meno piccole di eccellenze sparse qua e là sui territori? Nel capitolo dedicato a Salerno questo interrogativo prova a scioglierlo Francesco Pirone, ricercatore di Sociologia all’Università Federico II. L’analisi parte dalla considerazione della città come un’eccezione territoriale positiva rispetto al contesto regionale e più in generale, meridionale. «Quando si parla di Salerno – si legge all’inizio del capitolo – non si tratta tanto di rappresentazioni effimere, né di storytelling, quanto piuttosto del riconoscimento di una significativa trasformazione urbana e della sua efficace narrazione, condotte con continuità e coerenza negli ultimi 20 anni». Trasformazioni che coincidono con il periodo di ascesa politica di Vincenzo De Luca e «alimentate, con ampio consenso elettorale, dalla capacità di mettere in forma e rappresentare uno stabile sistema di interessi locali che, direttamente o indirettamente, ha contribuito al governo e alle strategie di trasformazione della città. Pur scontando un limite in termini di pluralismo e partecipazione – si legge nel volume – la stabilità dell’indirizzo politico è stata la condizione che ha consentito agli attori del territorio di pensare alla trasformazione della città in maniera ambiziosa e in prospettiva del lungo periodo».
Linee di sviluppo urbanistico che hanno seguito la pianificazione comunale di metà anni ’90 (ispirata al lavoro dell’urbanista Oriol Bohigas) e che sono la chiave per comprendere le strategie di crescita turistica della città: dal rinnovamento del branding cittadino, all’attrazione di archistar, fino alla promozione di eventi come Luci d’artista. A fronte della crescita del turismo, è però il porto commerciale a confermarsi come componente imprescindibile dell’economia cittadina legata al mare. Torna a crescere il numero dei residenti dopo un lungo periodo di riduzione, «non tanti, però, da giustificare l’intensificazione residenziale nella città “compatta”, come anche l’estensione, perlopiù speculativa, nei quartieri collinari e nelle aree a est con l’edificazione di nuove torri periferiche: forse il più efficace esempio della “dispersione antiurbana” che lo stesso Bohigas aveva tanto contrastato».
Riqualificazione urbana e sviluppo turistico che, però, come racconta la tappa salernitana del libro, «scontano un’inerzia degli operatori culturali che stentano a trasformare l’effervescenza diffusa del terzo settore a vocazione culturale in un sistema organizzato ed economicamente rilevante». In sostanza, «alla sprovincializzazione dell’immagine della città non corrisponde un’adeguata dinamica culturale. E, probabilmente – conclude l’analisi – ha inciso negativamente anche lo sviluppo autoreferenziale dell’Università nel campus di Fisciano, lontano dal centro della città, che ha ridotto le possibilità di contaminazioni di saperi che oggi appare condizione necessaria per sostenere processi culturali di crescita creativi e innovativi».
Eleonora Tedesco
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