L’Ateneo partecipa a una ricerca sul Parkinson

Alcuni fattori di rischio individuati nella provincia di Salerno. Si cercano malati per la sperimentazione

Un passo avanti per comprendere meglio le cause di una malattia degenerativa tanto temuta quale il Parkinson. L’Ateneo di Salerno sembra essere sulla buona strada: alla base della patologia, infatti, ci sarebbero almeno due alterazioni che riguardano il gene Snca (alfa-sinucleina) e Lrrk2. Le scoperte fanno parte del progetto Parkinson Progression Markers, voluto dalla Fondazione Michael J. Fox che, tra i 32 centri coinvolti nella ricerca, ha voluto anche l’Università di Salerno. Una collaborazione importante dato che i geni studiati (in particolare l’alfa-sinucleina), sono presenti nel 5-10 per cento dei casi di malattia e risultano più comuni nell’area campana (nella provincia di Salerno in particolare). Il progetto è stato lanciato nel 2010 ed ha visto la partecipazione di 423 pazienti con possibili fattori di rischio per il Parkinson o con diagnosi recente di malattia. Oggi però il centro salernitano vuole fare di più: l’obiettivo è quello di coinvolgere pazienti e volontari residenti nella provincia di Salerno, specie di Contursi Terme, con diagnosi di Parkinson o con familiarità con la malattia.

«Abbiamo necessità di nuovi volontari – spiega Paolo Barone, professore dell’Università degli studi di Salerno – con mutazioni genetiche associate al Parkinson, che monitoreremo per almeno cinque anni, con l’obiettivo di arrivare a identificare un biomarcatore predittivo di malattia. Per il Parkinson, infatti, non esistono indicatori validati come avviene per altre malattie dove, ad esempio, i livelli di colesterolo alto sono possibili precursori dello sviluppo di patologie cardiovascolari - ha continuato - per il Parkinson questi segnali potrebbero essere dati dalla perdita dell’olfatto o i disturbi del sonno nella fase Rem. Se si confermassero tali avrebbero una duplice valenza: potranno essere di aiuto nella diagnosi e nella gestione della malattia, ma anche contribuire ad orientare al meglio le sperimentazioni cliniche, a ideare e poi testare nuovi farmaci mirati misurando in maniera più veloce i cambiamenti biologici che si attuano, ancora prima di verificare il miglioramento clinico. Avere quindi un fattore prognostico è un punto nodale per l’evoluzione e il trattamento della malattia». Per aderire al progetto è possibile contattare il sito www.michaeljfox.org. ©RIPRODUZIONE RISERVATA