il caso

Insulti ai sindacati, condannato Pellegrino

L’imprenditore della Pecoplast dovrà risarcire la Cgil. Scrisse «comando io, vi caccio fuori a calci e vi sputo in faccia»

SALERNO. «Comando io e basta, chi non è d’accordo se ne andasse a fan...». L’imprenditore Rosario Pellegrino lo scrisse nero su bianco in una lettera indirizzata al sindacato, inviata per conoscenza ad Assindustria e fatta affiggere in bacheca nello stabilimento della sua Pecoplast. Un documento che già all’epoca – era il settembre del 2008 – gli costò la censura dell’allora presidente di Confindustria Salerno, Agostino Gallozzi, e che ora sostanzia una condanna per diffamazione emessa ieri pomeriggio dal giudice di pace. La pena è stata fissata in una multa di 600 euro, ma Pellegrino dovrà accollarsi pure il risarcimento del danno (1.200 euro a ciascuno dei due sindacalisti che si sono costituiti in giudizio) e pagare per intero le spese legali del processo.

A sporgere querela furono l’allora segretario provinciale della Cgil, Franco Tavella, e quello dell’organizazzione di categoria Filcem, a cui la missiva d’ingiurie era stata inviata via fax. «Se l’organizzazione sindacale – si leggeva tra l’altro – pensasse di comportarsi come con Alitalia, gli rammento che io mi chiamo Pellegrino e non Colaninno, vi mando non solo a fanculo, vi caccio a calci nel sedere e vi sputo pure in faccia». Un’invettiva che generò una levata di scudi non solo tra i lavoratori ma tra gli stessi imprenditori. Gallozzi propose un provvedimento di espulsione da Assindustria, Pellegrino reagì sbattendo la porta, rassegnando lui le dimissioni prima che l’argomento potesse confluire in un ordine del giorno.

Tavella e Berritto decisero inoltre di andare avanti per vie legali, si rivolsero agli avvocati Luigi Paolo Giella e Michela Giella e quando nell’ottobre del 2010 è iniziato il processo si sono costituiti parte civile. Nel decreto di citazione a giudizio, il pubblico ministero Marinella Guglielmotti chiedeva che l’imputato fosse condannato anche per il reato di minacce. «Se mi volete denunciare, fare sciopero – era scritto nella lettera – siete liberi di fare quello che volete non ci sono problemi, poi i mi regolerò di conseguenza». E in aula uno dei membri della rappresentanza sindacale unitaria ha testimoniato di essere stato lasciato a casa per qualche giorno. Il giudice non ha ritenuto che vi fossero gli estremi di una sentenza per minacce, ma al sindacato basta aver incassato la condanna per diffamazione. Anche se di tempo ce n’è voluto, considerato che dal momento del fatto sono passati cinque anni e mezzo. Nel frattempo la Pecoplast è stata dichiarata fallita con una sentenza emessa dal Tribunale fallimentare il 30 luglio del 2015, e sono ancora in corso le udienze per l’esame delle istanze dei creditori. Pellegrino l’aveva costituita più di dieci anni fa per produrre filtri per aria in termoplastica destinati ad essere montati sulle vetture della Fiat. Era la nuova frontiere di un’altra azienda tuttora attiva, la Pelplast, che produce materie plastica. Ma la pronuncia di fallimento è arrivata prima anche della sentenza penale.