l’iniziativa 

Incontro migranti-detenuti La speranza nasce all’Icatt

“Why can we be friends? The color of your skin don’t matter to me”. ‘Perché non possiamo essere amici? il colore della tua pelle non m’importa”, è quello che cantavano nel 1975 i War, gruppo...

“Why can we be friends? The color of your skin don’t matter to me”. ‘Perché non possiamo essere amici? il colore della tua pelle non m’importa”, è quello che cantavano nel 1975 i War, gruppo statunitense in voga negli anni ’70 che con queste semplici frasi snocciolava un concetto che purtroppo nella società di oggi ancora si fa difficoltà ad abbracciare, ovvero quello dell’uguaglianza tra tutti gli individui e dell’integrazione sociale.
Proprio in merito a questi temi, nella giornata di venerdì la casa di reclusione dell’Icatt di Eboli ha fatto da scenario all’evento “Non Persone”, organizzato dall’avvocato Paola De Vita nell’ambito del laboratorio trattamentale “Mi rispetto, se ti rispetto”, che ha permesso ai detenuti dell’Icatt di confrontarsi con i giovani migranti dello Sprar di Eboli/Santa Cecilia, che ospita fino a 25 ragazzi, e della comunità alloggio “Obiettivo Futuro”, gestita dalla cooperativa Aries Onlus di Battipaglia, che ospita minori stranieri non accompagnati con percorsi di inserimento scolastico-lavorativo e regolarizzazione di documenti.
Tanti ragazzi provenienti da varie parti del mondo (Bangladesh, Pakistan, Gambia) hanno raccontato la loro esperienza e il loro difficoltoso viaggio per raggiungere l’Italia. A collegare tutti gli attori protagonisti di giornata, il documentario “Non Persone”, della giovane regista ebolitana Giulia Monaco, che ha raccontato attraverso immagini forti la dura realtà della rotta balcanica, un viaggio che in tanti compiono per cercare fortuna partendo dai paesi dell’est Europa e di cui purtroppo si hanno poche notizie. «Il mio viaggio mi ha fatto capire quanto siamo fortunati ad essere nati nella “parte giusta del mondo”, a differenza dei ragazzi incontrati che vivono in condizioni che portano a depersonalizzare l’individuo», spiega la regista ebolitana che per l’occasione ha allestito anche una contestuale mostra fotografica realizzata con i suoi scatti, dall’emblematico titolo “Belgrade-I am a person too”.
Il carcere a custodia attenuata, gestito dalla direttrice Rita Romano, non è nuovo a questo genere di iniziative e anche stavolta i detenuti sono stati affascinati, incuriositi ed emozionati dalle storie raccontate dai giovani Sobuj, ragazzo del Bangladesh e Oumar, ragazzo della Guinea, ospiti della comunità battipagliese, che hanno raccontato la loro traversata fino in Libia per poi comprare da lì il biglietto per l’Italia, il paese delle opportunità, il paese dei loro sogni dove «c’è tutto ciò di cui c’è bisogno», come raccontano gli stessi ragazzi, ancora minorenni al momento del viaggio e costretti ad abbandonare le famiglie per ritagliarsi un futuro migliore.
Ai due “battipagliesi” si è unito anche il racconto dell’esperienza di Tijan Bojang, proveniente dal Gambia e oggi diventato mediatore culturale della struttura ebolitana di Santa Cecilia per essersi distinto nei suoi 4 anni in Italia per le sue capacità. A chiudere la giornata, i giovani stranieri dello Sprar di Eboli hanno donato a ciascun ospite dell’Icatt una candela in segno di augurio, accompagnata da messaggi di speranza.
Filippo Folliero
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