«In celle così strette c’è chi impazzisce»

La testimonianza di un ex detenuto liberato dopo 90 giorni Una mamma denuncia: «C’è pure il racket delle prenotazioni»

SALERNO. Storie di sofferenza, di umiliazioni e di privazioni. Storie dalla Casa circondariale di Fuorni, vissute dall’interno, da chi ha “soggiornato” nelle celle e ha potuto toccare con mano i problemi e i limiti del carcere. Ma anche storie di familiari, che seppur al di fuori del cancello, che è il confine tra la prigionia e la libertà, hanno dovuto subire persino pestaggi per non sottomettersi alle logiche di uno pseudo racket delle prenotazioni per le visite ai detenuti. Perché la vita, dentro e fuori il carcere di Salerno, è proprio così. Nuda e cruda, senza filtri e, soprattutto, raccontata da chi ha avuto questa esperienza. A partire da Maddalena Artucci, che ha avuto il figlio incarcerato nel penitenziario cittadino fino al primo ottobre del 2013, per via di una condanna per estorsione.

«Sono stata finanche picchiata nel piazzale antistante il carcere – racconta la signora Artucci – perché non ho voluto pagare i 10 euro di pizzo necessari per avere la precedenza per l’ingresso nella struttura». Come spiega Maddalena Artucci, infatti, tutto era organizzato secondo una logica: chi arrivava per primo segnava il proprio nominativo su un foglio, che portava lui stesso, e che veniva appoggiato su un raccoglitore di rifiuti. Gli altri che giungevano a seguire scrivevano il loro nominativo sul foglio e, quindi, l’elenco era consegnato agli agenti della Polizia penitenziaria, che provvedevano a chiamare i familiari secondo l'ordine d’arrivo. Tuttavia, come rivela la signora Artucci, c’era qualcuno che deteneva (e chissà se detiene ancora) il monopolio delle prenotazioni e che riservava posti per altri, naturalmente in cambio di un compenso in danaro. «Io non potendo pagare i 10 euro richiesti – sottolinea – mi sono arrangiata da sola, con levatacce mattutine per essere tra i primi ad entrare». Un atteggiamento che, tuttavia, ha infastidito chi gestiva il “mercato” delle prenotazioni. E, perciò, è scattato il raid punitivo. «Sono stata picchiata – rimarca la signora – davanti al carcere, senza che nessuno intervenisse».

La vita da familiare di detenuto non le ha riservato solo questa sorpresa. «Mio figlio è uscito dal carcere – mette in risalto – con evidenti problemi psichici. Mi ha raccontato che tutti prendevano psicofarmaci, che venivano distribuiti a casaccio e senza nessuna prescrizione. Era in una cella con altre sette persone e aveva a disposizione pochissimo spazio, oltre che una libertà ridotta al lumicino». I problemi, però, erano anche altri. «Non ho mai capito il perché non era possibile far entrare le cinture nel penitenziario – si chiede Maddalena Artucci – mentre poi era possibile acquistarle all’interno. Per mio figlio spendevo, a costo di tanti sacrifici, 200 euro a settimana, perché gli portavo anche il cibo, in quanto nessuno mangiava i pasti della mensa e si cucinavano loro stessi».

Che quasi nessuno, negli anni passati, apprezzasse il vitto carcerario lo conferma anche un altro ex detenuto, C.B., originario dell’Agro nocerino sarnese, che ha trascorso, nel 1995, 90 giorni rinchiuso nella Casa circondariale salernitana, prima di essere poi assolto da ogni accusa. In quegli anni si era passati da un eccesso all’altro: dal clamore del cosiddetto “Grand hotel Fuorni”, quando i boss di camorra all’interno del carcere vivevano nel lusso, ad un regime molto duro, dopo che era esploso lo scandalo. «Cucinavo io per i miei 7 compagni di cella – spiega – in quanto era l’unico modo per passare il tempo. Compravamo soprattutto pelati e pasta e con i pochi ingredienti riuscivamo a preparare pietanze che ci sfamavano. Vivevamo come bestie, rinchiusi in uno spazio ristretto, e l’ora d'aria giornaliera era in un cortile interno, dove per scorgere il sole dovevi alzare bene la testa. E quello era l’unico momento in cui riuscivamo a vedere i colori». «La giornata trascorreva seduti sulle brande – aggiunge C.B. – ed ho conosciuto anche persone che sono letteralmente impazzite. Perché sul carcere si deve fare una seria considerazione: chi sa di aver sbagliato, chi è consapevole di aver violato la legge è pure conscio che deve scontare la pena. E, pertanto, la detenzione diventa quasi una normalità. Per chi invece è innocente, come è capitato a me, la carcerazione acquista un sapore amaro e diventa un’esperienza da incubo, a tratti aberrante». «E non mi sento – conclude – di addossare responsabilità al personale, che faceva e fa il proprio dovere, in quanto anche loro vivono in condizioni pessime».

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