Impianto di itticoltura Tutti soldi sprecati

A Santa Marina la struttura è ridotta in rovina a 20 anni dalla costruzione. Pochissimi i lavoratori assunti, avrebbe inquinato il mare

SANTA MARINA. I rovi coprono la recinzione e anche il capannone maestoso in cemento, ridotto a rovina dopo circa 20 anni dalla costruzione. E i rampicanti stanno avendo la meglio anche sulla montagna di rifiuti lasciati alle intemperie: materiale edile, infissi arrugginiti e addirittura camion abbandonati. Immerse ormai nel verde, invece, le vasche utilizzate per l’allevamento di spigole e orate. E’ quel che resta dell’impianto di itticoltura costruito circa venti anni fa dalla comunità montana alla foce del fiume Bussento. La struttura, costata oltre venti miliardi di vecchie lire, era nata per creare occupazione ma invece nel corso degli anni ha creato molto più lavoro per ingegneri ed avvocati. Pochissimi i lavoratori assunti con contratti fantasma e con stipendi da elemosina che alcuni di loro sembrerebbe, addirittura, non abbiano ancora ricevuto. Dall’80 fino a pochi anni fa (quando la struttura è stata definitivamente chiusa a seguito del fallimento della società che la gestiva), sono state prodotte una mole colossale di progettazioni, costate diversi milioni delle vecchie lire alle quali sono seguite diverse decine di ricorsi e denunce.

Il primo finanziamento da capogiro circa 25 anni fa: undici miliardi delle vecchie lire vennero erogati dal ministero dell’Ambiente per valorizzare il fiume Bussento. Poi negli anni il progetto ha preso altre vie. L’impianto di itticoltura è ritenuto uno dei responsabili dell’inquinamento del mare del golfo di Policastro: finì prima nei faldoni del Palazzo di giustizia di Sala Consilina, poi al Riesame, al Tar fino a giungere in Cassazione. Indagini sull’allevamento sono state svolte negli anni anche dalla Capitaneria di Porto, dai carabinieri di Sapri e dal Noe di Salerno, dagli esperti dell’Ecram e dalla Sovrintendenza di Salerno che riscontrò gravi abusi edilizi per i quali dispose l’abbattimento. Nel 2002 ben ottantadue persone finirono nel registro degli indagati poiché ritenuti responsabili, a vario titolo, di truffa aggravata, falso ai danni dello Stato e della Comunità europea, falso ideologico in atto pubblico e abuso d’ufficio.

Alcuni sono stati prosciolti, altri rinviati a giudizio. Ma ormai tutto fa parte di un passato burrascoso. Da poche settimane la struttura, a seguito di un lungo contenzioso con la comunità montana, è divenuta proprietà del Comune di Santa Marina. Il sindaco Dionigi Fortunato, in attesa di effettuare la bonifica, ha interdetto completamente l’area. «Riqualificheremo e bonificheremo l’intera zona. Purtroppo – ha spiegato il primo cittadino - abbiamo ereditato una situazione gravissima».

Ed intanto il presidente del Consiglio comunale, nonché consigliere regionale Giovanni Fortunato, rilancia: «Qui sorgerà il più grande Acquapark della Campania – annuncia Fortunato – questa zona, simbolo dello spreco e del degrado, diventerà il luogo della rinascita. Quest’area, gestita per anni dalla comunità montana arrecando gravi danni al territorio, tornerà nelle mani dei cittadini per portare sviluppo e ricchezza».

Vincenzo Rubano

©RIPRODUZIONE RISERVATA