Il successo all’estero è possibile ma ci sono anche italiani “a nero”

In 15 puntate la Città, con Alberto Gentile, ha raccontato negli ultimi mesi le storie di salernitani e salernitane emigrati all’estero con successo. Persone impegnate nei mondi della ricerca...

In 15 puntate la Città, con Alberto Gentile, ha raccontato negli ultimi mesi le storie di salernitani e salernitane emigrati all’estero con successo. Persone impegnate nei mondi della ricerca scientifica e sociale, dell’arte, della produzione culturale, della cooperazione internazionale, della progettazione urbanistica, della formazione, della ristorazione del tempo libero. Distribuite tra Londra, Parigi, Pechino, Dubai, New York, Chicago: in alcune delle più grandi aree metropolitane del mondo. Un insieme di persone che ha studiato in Italia, in una parte dei casi presso l’Università di Salerno, sviluppando dimestichezza con una o più lingue straniere, dimostrando che il mondo non coincide con il luogo di nascita, che la mobilità può aprire opportunità assenti nel posto in cui si vive, ma anche che la formazione costruita in Italia ed a Salerno non è affatto scadente come, invece, troppo spesso, in modo superficiale, si afferma

Certo, le storie presentate sono tutte positive, interessanti, di successo potremmo dire. Averle messe in evidenza è molto importante perché ci dice che si può fare, che alla rassegnazione o alla disperazione per un futuro troppo incerto si può sostituire la ricerca di alternative possibili, capaci di attivare o stimolare nuove conoscenze. Queste storie individuali hanno questa capacità, quella di parlarci direttamente, immediatamente, anche intimamente, dicendoci “vedi, è possibile, il futuro è ancora tutto da costruire”.

Questa forma di ottimismo, ovviamente, non è cieca. Le stesse persone protagoniste delle storie raccontate hanno chiarito che non è così facile emigrare così come non è affatto facile restare a Salerno e provincia, perché economia e politica locale non sono capaci di costruire contesti favorevoli per le persone giovani né, tanto meno, per una molteplicità di capacità culturali, scientifiche, artistiche ed artigianali. Ma perché? I motivi sono diversi, combinati tra loro in una storia che interessa almeno gli ultimi 30 anni, durante i quali si è azzerata ogni politica industriale in Italia, sono state privatizzate le aziende strategiche (da quelle della telefonia a quelle dell’energia), è stata progressivamente (e, negli ultimi dieci anni, in modo accelerato) sottofinanziata l’università, messa in discussione la formazione scolastica di qualità e subordinato bilanci pubblici e politiche locali agli interessi dei costruttori, delle banche e della speculazione fondiaria.

In questo contesto sono ripartite le emigrazioni a livelli di massa dal Sud Italia. In verità, non si erano mai fermate, però tra la metà degli anni '70 ed i primi anni '90 si erano ridimensionate. Poi, sono riprese, verso il nord Italia ed Europa, guardando, quando possibile, anche altrove. E così, abbiamo iniziato ad avere di nuovo italiani ed italiane all’estero anche senza permessi di soggiorno, che vivono da clandestini come si dice con disprezzo di quanti migrano verso l’Italia senza documenti regolari. Nel 2014 ne sono stati stimati 500 mila di italiani irregolari all'estero, cioè persone che lavorano negli Stati Uniti, in Australia ed in altri paesi senza documenti regolari. Queste storie sono, ovviamente, meno positive, meno entusiasmanti, meno esaltanti, ma sempre espressione del fenomeno delle migrazioni. Un fenomeno duro, fatto spesso di sofferenza, in ogni caso di difficoltà e coraggio, che cambia per sempre la vita di chi migra così come delle persone vicine, parenti ed amici, stravolgendo sentimenti, affetti e progetti. Un fatto sociale totale, diceva il sociologo algerino Abdelmalek Sayad, che cambia la società da cui si parte così come la società in cui si arriva. Un fatto sociale caratteristico dell’umanità, che solo razzismi, frontiere e chiusure strumentali trasformano in un problema, governato, spesso, con colpevole ostilità.

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