IL RISORGIMENTO NEL SALERNITANOUndicesima puntata: il Cilento sulle barricate

Solo nei primi anni ’40, attraverso il giovane Mazziotti e il carismatico Costabile Carducci di Capaccio, insieme a Poerio, Settembrini e molti altri, si formò a Napoli un coordinamento delle diverse frazioni del liberalismo e del radicalismo meridionale

Il Cilento rivoluzionario era un mito per i liberali italiani, invece era la terra dei tristi per la polizia borbonica. Si era consolidato con le rivoluzioni del ’48 e con le innumerevoli cospirazioni ed insurrezioni della carboneria cilentana che si susseguirono dalla Restaurazione agli anni ’30 del secolo. L’azione clandestina del liberalismo cilentano era infatti iniziata subito dopo le tremende carneficine seguite alla rivolta del 1828.

Tanti erano morti e spesso erano stati i loro figli a ricominciare la militanza politica. Ulisse de Dominicis di Ascea, figlio di uno dei giustiziati del ’28, iniziò subito a organizzare nuove lotte nel territorio. Il comitato segreto che cominciò a raccogliere le fila dei vari gruppi liberali nelle province napoletane aveva tra i principali esponenti Francescantonio Mazziotti di Celso (figlio di un altro importante liberale morto nelle galere borboniche) e Matteo de Augustinis di Felitto, un celebre studioso. In quegli anni si susseguirono nel salernitano cospirazioni, denunce e retate della polizia: nel 1833 furono arrestate decine di persone della setta cilentana I figli di Dio; altre furono scoperte a Teggiano, Padula, Buonabitacolo e Salerno. Nel 1837 a Vallo e in molti altri paesi, in coincidenza con l’epidemia di colera, ci furono continui scontri con la gendarmeria. Altri cilentani furono condannati come membri della setta della Fratellanza, un centinaio infatti andarono in prigione senza giudizio. Iniziarono a diffondersi la Giovine Italia mazziniana, la Legione Italica di Fabrizi e poi le varie articolazioni liberali o moderate, intrise dei miti della vecchia carboneria. Solo nei primi anni ’40, attraverso il giovane Mazziotti e il carismatico Costabile Carducci di Capaccio, insieme a Poerio, Settembrini e molti altri, si formò a Napoli un coordinamento delle diverse frazioni del liberalismo e del radicalismo meridionale. Erano anni di accese passioni, dilagavano le idee di Mazzini e di Gioberti, la musica, la letteratura, tutto sembrava presagire la crisi della Restaurazione e l’annuncio di epoche nuove. Così, fraintendendo del tutte le intenzioni del nuovo Papa Pio XI, anche nel sud la sua elezione accese gli entusiasmi per una svolta liberale e nazionale.

Il Borbone non aveva però nessuna intenzione di assecondare le folli idee! Alla fine del 1847 si moltiplicarono piccole insurrezioni a Reggio Calabria e a Messina, soffocate nel sangue. Nel gennaio 1848 però tutta la Sicilia esplose cacciando le truppe borboniche ed inaugurando il grande anno della Rivoluzione europea. I siciliani erazionale a Salerno fu caricato dai Dragoni e dai gendarmi). Alla fine il Re dovette accettare la Costituzione, promulgata il 29 gennaio. Iniziò così la breve parentesi costituzionale. Anche nel Cilento si giunse alle elezioni parlamentari. Nel salernitano i liberali trionfarono alle elezioni legislative vincendo quasi ovunque. I tre seggi del Cilento furono conquistati dai leaders della rivolta: Carducci, Mazziotti e De Dominicis. Molti cilentani partirono volontari per combattere gli austriaci nella pianura padana o diventarono funzionari del governo costituzionale. Il sogno fu breve. Il 15 maggio esplose la crisi costituzionale di Napoli.

Carducci e molti cilentani come De Mattia e Giordano si batterono sulle barricate di Largo della Carità contro gli svizzeri. Tra loro c’era Antonio Gallotti, uno dei capi della rivolta cilentana del ’28, tornato dopo vent’anni di esilio. Qualche settimana dopo insorse la Calabria. Il resto del Regno continentale si dibatteva tra chi pensava di poter continuare la battaglia costituzionale e chi voleva sostenere la rivolta calabrese. Ancora una volta, nel luglio del 1848, furono i soli cilentani a tentare di sollevarsi. Tra loro Carducci, che prima fu in Calabria a combattere con i ribelli e poi tentò di raggiungere il Vallo di Diano. Il suo gruppo, aggredito da un squadra paramilitare borbonica, fu catturato. Carducci fu assassinato a sangue freddo per ordine di un prete feroce e avido che la guidava, Vincenzo Peluso (Ferdinando II lo ricompensò come un eroe). I liberali guidati sempre da De Angelis e Pessolani, da Riccio e De Mattia, da Magnoni e Passaro, tentarono di ripetere il successo di gennaio. Colonne di volontari attraversarono il Cilento e il Vallo di Diano, raccogliendo volontari e risorse. Le forze borboniche però giungevano da tutti i lati. Trentinara, dove c’era il punto più avanzato degli insorti, fu presa d’assalto dai regolari e ancora una volta ci furono casi di giustizia sommaria. Qualche settimana dopo il Cilento era caduto. Iniziò la reazione borbonica. 2087 cilentani furono indagati per fatti politici, centinaia finirono nelle carceri e nei bagni penali di Ferdinando II, altrettanti riuscirono a fuggire all’estero o nella clandestinità. Non servì a molto, solo qualche mese dopo la repressione, il generale borbonico Quandel scriveva preoccupato che non c’era da stare tranquilli in provincia, tanto è magica la impressione suscitata dal nome di cilentani. Aveva ragione. Solo pochi anni dopo migliaia di loro seguirono Garibaldi vincendo la guerra iniziata sessant’anni prima.

* Docente di Storia contemporanea facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Salerno

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