Il risorgimento nel Salernitano. SETTIMA PUNTATAGli eroi di Rutino I fratelli Magnoni e la rivoluzione

Un sacerdote teneva le fila della cospirazione nella nostra provincia. Il gruppo venne annientato grazie a un infiltrato

I paesi del Cilento, del Vallo di Diano e di gran parte del Mezzogiorno sono stati spopolati da un secolo e mezzo di ininterrotta emigrazione. Ancora oggi migliaia di laureati (e non solo) si trasferiscono nelle cittá del centro nord o, più raramente, all’estero. Una conseguenza di questo drammatico, triste e a volte affascinante fenomeno è che molti di questi comuni, nonostante molti scempi edilizi, hanno spesso conservato la loro fisionomia ottocentesca.

Visitandoli, si possono scoprire e rivivere uomini, storie e vicende di un secolo lontano. Negli anni del Risorgimento erano lontani da venire i fenomeni di urbanizzazione e industrializzazione che hanno cambiato il volto dei nostri territori. Le zone interne erano demograficamente e politicamente molto più importanti di oggi, la politica di quelle lontane contrade molto più penetrante di quella attuale negli equilibri della societá meridionale. Il Cilento, per esempio, terra di sette e cospirazioni, era al vertice delle preoccupazioni del governo borbonico e pertanto tra le zone politicamente più sensibili del Regno.

Era un territorio di piccoli centri, sempre zeppi di attivisti liberali e di attendibili politici. Tra questi, Rutino, era uno dei più accesi covi di rivoluzionari e ne conserva l’atmosfera. Ancora oggi, quando si entra nel paese, due splendide case ricordano i Magnoni, una delle famiglie che per decenni animò la lotta politica cilentana e meridionale (ancora di proprietá dei loro orgogliosi eredi). Ruggero Moscati scrivendo del Risorgimento salernitano citò famiglie come i Pessolani di Atena e i Mazziotti di Celso, i Santelmo di Padula e i Macchiaroli di Bellosguardo che, per generazioni, avevano costruito il filo del liberalismo e del nazionalismo meridionale. Erano, scrisse il grande storico, la grandissima maggioranza di chi lavorava per un ordine nuovo. Questi uomini, che incontreremo spesso, intrecciarono sempre le loro vite con la societá di quei piccoli centri. La storia dei Magnoni e di Rutino è pertanto un efficace esempio di un mondo così lontano. La scelta di Rutino non è un caso, visto che nel 1860 era il comune più garibaldino d’Italia. Basta leggere la lettera del sindaco dell’epoca, Vincenzo Borrelli, al Governare rivoluzionario di Salerno, Giovanni Matina. Il sindaco era stato sollecitato al pagamento delle imposte.

Con una una lettera del 17 settembre 1860 rispose che questo era del tutto impossibile: su una popolazione di poco più di un migliaio di abitanti più di 200 si erano arruolati nell’Esercito meridionale di Garibaldi. Pertanto, scriveva, bisognava aspettare la fine della guerra, il ritorno dei volontari e le tasse sarebbero state regolarmente pagate. Non fu un caso in quella estate in cui si decise l’Italia. Ma sicuramente era tra i più clamorosi, favorito dall’intenso e carismatico ascendente che nel paese esercitavano i fratelli Magnoni e tra loro Michele, ufficiale tra i Mille di Garibaldi. La loro storia veniva da lontano. Il padre e lo zio avevano partecipato ai moti liberali del ’20.

Il padre, con i rutinesi Mercurio e Verdoliva avevano sostenuto la rivolta cilentanta del ’28. Luigi Magnoni aveva nascosto in casa i fratelli Catarina, cospiratori cilentani, e cercato di aiutare i leader della guerriglia antiborbonica, i fratelli Capozzoli (giustiziati dopo una famosa e rocambolesca latitanza). Sempre a Rutino furono uccisi a sangue freddo alcuni dei liberali arrestati dai borbonici. Così è facile immaginare da che parte stavano i Magnoni in vista della rivoluzione. Iniziata l’insurrezione in Sicilia, i liberali napoletani e salernitani decisero che occorreva mobilitarsi nel continente. Il 15 gennaio del ’48 si riunirono a Rutino, il leader dei radicali cilentani, Costabile Carducci, i fratelli Pavone di Torchiara, Giuseppe Verdoliva e i Magnoni (Salvatore e Lucio, i fratelli maggiori di Michele). Decisero di mobilitare il distretto super radicale di Torchiara, insieme a tutto il Cilento. Due giorni dopo iniziò la rivolta e dopo qualche tentennamento il Re dovette concedere la Costituzione. Furono mesi concitati. Salvatore Magnoni era stato tra i leaders delle bande di rivoltosi (partecipando alla vendetta verso i "delatori" del 1828). Ora si affiancarono ai deputati costituzionali del Cilento (Carducci, Mazziotti e De Dominicis). Poi, dopo il 15 maggio e l’inizio delle rivolta in Calabria, furono insieme a Riccio e Serino, a Pessolani in un nuovo tentativo di alzare la bandiera ribelle. Furono formate due colonne di cilentani.

La prima guidata da Riccio marciò verso Sapri, la seconda, (di cui facevano parte i Magnoni) fu assalita e sconfitta in un feroce scontro con le truppe regolari a Trentinara. Iniziò l’ennesima reazione borbonica. I Magnoni si diedero alla macchia mentre il Cilento veniva normalizzato dalla colonna mobile del generale borbonico Palma. Rutino fu occupata dai feroci paramilitari del barone Vairo di Piaggine. Il padre dei Magnoni fu catturato ma i fratelli riuscirono a restare latitanti per 4 anni, nascosti tra le montagne del Cilento e protetti dai loro compaesani. Però nel 1852 furono arrestati e condannati, insieme ad altri 180 cilentani, a decenni di carcere. Solo Michele, ancora giovanissimo, evitò la Darsena di Napoli e il Bagno di Procida (allora temuti ergastoli) e, fedele alle tradizioni familiari e cilentane, iniziò ora la cospirazione mazziniana, trasformando ancora una volta Rutino e il distretto di Torchiara in un fortilizio rivoluzionario.

Era tra i responsabili della futura Spedizione di Sapri ma, dopo qualche entusiasmo iniziale, si rese conto della scarsa luciditá operativa del comitato centrale e cominciò a segnalare le grandi difficoltá dell’impresa. Aveva ragione perché, alla fine del ’56, l’ennesima colonna mobile borbonica, comandata dal maggiore De Liguoro, mise Rutino in stato d’assedio e lo arrestò con moltissimi rutinesi (e con i familiari appena usciti dal carcere), segnalandolo come tra quelli che seminavano discordie contro il governo. Ancora una volta i suoi amici cilentani non mollavano: la colonna di gendarmi fu assalita appena uscita da Rutino e furono proprio i Magnoni ad evitare la strage e a far ritirare gli amici. In ogni caso Michele Magnoni era un coraggioso, anche dal carcere tentò disperatamente di aiutare la Spedizione.

Mentre gli altri fratelli continuarono ad alternare carcere e confino, fu condannato a morte e poi all’esilio a Genova. Così lo abbiamo trovato tra i Mille e nell’epopea siciliana mentre i fratelli, usciti dal carcere preparavano l’ennesima insurrezione nel Cilento. E nell’abbagliante estate del 1860, poterono coronare il sogno di tre generazioni di liberali. Il 2 agosto proprio Garibaldi inviava Michele nel Cilento mentre il fratello Lucio fu nominato dal Comitato d’azione di Napoli come Alto commissario per l’insurrezione nel comprensorio. Parteciparono alla rapida e ingloriosa fine delle istituzioni borboniche in quelle settimane e Michele, a Sapri, potè accogliere proprio Garibaldi che arrivava nel suo Cilento. Non fu un caso, quindi, che centinaia di compaesani di Rutino (e dei paesi vicini) li seguirono. Combatterono prima contro i reazionari ad Ariano, poi sul Volturno e Capua. Finita l’epopea del ’60, i Magnoni parteciparono alla faticosa costruzione del nuovo stato.

La guerra civile non era conclusa, c’era la lotta al brigantaggio (tra l’altro Salvatore fu sequestrato dai banditi) a cui parteciparono ancora una volta decine e decine di rutinesi inquadrati nella Guardia Nazionale del paesino. La costruzione delle istituzioni politiche (sia Lucio che Salvatore furono eletti parlamentari nella sinistra storica), la fedeltá a Garibaldi (nel ’66 organizzarono i volontari per il Trentino) e poi le mille vicende della nazione, l’emigrazione, la Grande guerra attraversarono il paese. Eppure, ancora oggi, passeggiando per Rutino, si può immaginare e forse sentire la passione di uomini che parteciparono al più grande sogno della loro generazione, la costruzione di una nazione.
* Docente di Storia contemporanea, facoltá di Lettere e Filosofia dell’Universitá di Salerno
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