Il risorgimento nel Salernitano. OTTAVA PUNTATAOdi politici e familiari nella Teggiano dei rivoluzionari

Francesco Carrano fu un deciso sostenitore di Cavour mentre Giovanni Matina fu il più importante mazziniano salernitano

Teggiano ricorda il sud dei grandi feudatari, dei baroni del ’400 e delle guerre tra Francia e Spagna. E’ un comune zeppo di opere d’arte, di intense tradizioni culturali e civili, ancora oggi un vivaio di iniziative che ne fanno un modello per la societá salernitana. Teggiano (allora si chiamava Diano) nell’Ottocento ospitò personaggi e vicende che parteciparono alle infinite rivolte, congiure e cospirazioni che segnarono il Risorgimento meridionale.

Proprio a Teggiano, il 30 aprile del 1860, furono affissi dei cartelli che annunciavano l’imminente arrivo di Garibaldi. Non fu un caso, mancavano pochissimi giorni prima della partenza da Quarto della Spedizione dei Mille. Il disappunto del sottintendente borbonico Calvosa, subito operativo per cercare di scoprire i responsabili dell’orribile misfatto non arrivò al punto da comprendere che stava assistendo all’inizio di un grande dramma storico. Il povero funzionario non poteva immaginare che, in un lontano paese dell’Appennino, era giunto il primo annuncio dell’imminente crollo del Regno.

• Teggiano, popolosa e con una attivitá politica vivacissima, era da decenni all’interno quel miscuglio di guerra ideologica e guerra civile che segnava la politica meridionale. Nel 1799 teggianesi come Corrado e Silvestri cercarono di costruire a Diano il governo repubblicano, scontrandosi sistematicamente con i realisti del paese. Nelle carte dei processi c’è, tra le tragedie di quei mesi, la strana vicenda dell’albero della libertá, il simbolo dei repubblicani. I teggianesi realisti lo abbatterono due volte e tre volte invece lo rialzarono i teggianesi repubblicani. Nel decennio francese molti cittadini di Diano furono ufficiali dell’esercito di Napoleone piuttosto che funzionari di Murat, ma il paese si ritrovò assediato dai briganti filo borbonici e fu salvato dalle legioni civiche del Vallo e dai militari francesi.

Tornati i Borboni, a Diano c’erano ben due vendite, le sezioni dei carbonari, che cospiravano per la rivoluzione liberale, ma anche i calderari che militavano per il Re. Nella rivoluzione del 1820 nella piazza fu proclamata la costituzione però anche questa volta con l’ostilitá di molti legittimisti e di molta parte del clero (anch’esso diviso tra liberali e reazionari). Diverse decine di paesani, in ogni caso, si arruolarono nella Legione del Vallo guidata da Parisi e da Pessolani, nel tentativo di difendere lo Stato costituzionale dall’invasione austriaca. Divisioni e odi politici e familiari, delazioni e tradimenti rendevano durissima quella lotta politica. Omicidi, vendette, agguati, riunioni segrete si accavallarono quasi per un altro mezzo secolo. C’era il partito borbonico, guidato dalla famiglia Colletti, a cui si opponevano vecchi carbonari e nuovi mazziniani come i Carrano e gli Aulisio, i Corrado e i Macchiaroli. Fu in questo scenario che si arrivò al fatale 1848.

• Diano partecipò alla rivoluzione costituzionale di gennaio e fu coinvolta nella ribellione salernitana dell’estate, ritrovandosi ancora una volta con decine di suoi concittadini incarcerati. C’erano, tra loro, personalitá importanti della lotta politica meridionale. Vincenzo Dono, tra questi, fu quello che ebbe il maggior ruolo nel ’48 e fu compagno di prigionia di Michele Pironti. Dieci anni dopo era con Poerio, Settembrini e molti concittadini del Vallo di Diano, nel gruppo di meridionali condannati alla deportazioni in Argentina. Riuscirono però ad impadronirsi della nave e, con una romanzesca fuga, a tornare in Italia. In quel 1848 decisivo e fatale, entrarono a pieno titolo nella battaglia politica risorgimentale altri due teggianesi: Francesco Carrano (nato a Napoli ma di famiglia dianese) e Giovanni Matina. Avevano una causa in comune ma con storie diverse: Carrano diventerá un deciso cavouriano, Matina il più importante mazziniano salernitano.

• Nelle loro biografie, quindi, possiamo comprendere molti caratteri del Risorgimento meridionale. Il primo, dopo aver partecipato alla cospirazione radicale degli anni quaranta, organizzò i volontari napoletani per la Prima Guerra d’Indipendenza. Combatté con Enrico Cosenz contro gli austriaci a Treviso e poi seguì il vecchio eroe del liberalismo meridionale, Guglielmo Pepe, a Venezia. Difese la repubblica come ufficiale nello Stato Maggiore del generale napoletano. Alla resa della cittá, finita la gloriosa epopea, fuggì in esilio a Torino. Diventò subito un celebre scrittore di cose militari, tra l’altro, curò gli scritti di Pisacane (di cui non condivideva le idee, pur essendo molto amico). Nella Seconda Guerra d’Indipendenza fu di nuovo volontario come alto ufficiale dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi e combatté in tutte le battaglie con il Generale. Nel 1860 tornò, su mandato di Cavour, a Napoli, dove la sua azione si incrociò con il compaesano (e lontano parente), Giovanni Matina.

Questi era un medico, impetuoso e coraggioso, che abbiamo trovato alla guida dalla rivoluzione salernitana (a breve uscirá la sua biografia scritta da un pronipote, Enzo Mattina). Ma la sua vita era stata travagliata e lo sará anche dopo. Matina aveva aderito alla Giovine Italia negli anni ’40, aveva partecipato a tutte le lotte del ’48, era stato ferito negli scontri del 15 maggio a Napoli. Nei dodici anni successivi passò da un carcere all’altro, senza mai smettere di cospirare e di organizzare. Fu il vero motore della rete mazziniana che si sviluppò nel Mezzogiorno negli anni cinquanta dell’ottocento e l’ideatore del piano di Pisacane. Scoperto e di nuovo imprigionato, si trovò, con la stato maggiore repubblicano, a giudizio nel famoso processo di Salerno del ’58. Fu prima condannato a morte e poi ottenne di andare in esilio in Piemonte. Amico di Garibaldi, a lui si dovevano i cartelli che avevano fatto infuriare i borbonici.

Protagonista della rivoluzione del ’60, insieme al fratello Michele, ad Antonio Carrano e molti amici, portò più di 100 teggianesi nell’Esercito meridionale di Garibaldi, di cui fu amico personale. Governatore di Salerno, fu esautorato dal Ministro Conforti per il suo radicalismo democratico. Nel fatale 1860 la scelta di campo era fatta. Carrano stava con Cavour e con il Re, Matina con Mazzini e con la sinistra. E così, la loro biografia, ci può raccontare un altro pezzo dell’Italia oramai unita. Carrano entrò nell’establishment del nuovo Regno. Partecipò, membro dello Stato Maggiore di Cialdini, alla direzione della lotta al brigantaggio, fu comandante della Guardia Nazionale di Napoli, membro del parlamento, aiutante di campo del Re. Andò a riposo con il grado di Maggior generale e scrisse importanti opere storiche sul Risorgimento italiano. Del tutto opposta la vicende di Matina. Deputato della sinistra più radicale, seguì sempre Garibaldi nelle campagne degli anni sessanta e fu colonnello dei volontari in Trentino nel 1866.

• Era uno dei più tenaci oppositori della Destra storica e del notabilato politico liberale di Salerno e di Napoli (dove amministrò il comune). Sempre impetuoso e sanguigno, fu revocato da deputato con accuse confuse e spesso vigilato come mazziniano impenitente e rissoso. Morì nel 1887, povero, ricordato da pochi amici. Tre anni dopo morì anche Carrano, dopo una brillante carriera. Eppure nella loro vita, da un piccolo paese dell’Appennino fino a Roma, c’era un pezzo della nuova Italia.
* Docente di Storia contemporanea, facoltá di Lettere e Filosofia dell’Universitá di Salerno
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