Il risorgimento nel Salernitano. NONA PUNTATALe toghe rivoluzionarie salernitane

Conforti, parente del famoso abate Gian Francesco Conforti, diventò giovanissimo un penalista di grido, con studio prima nel centro di Salerno e poi anche a Napoli. Fu famoso per una retorica a tinte forti e imbevuta di cultura umanistica

All’inizio del XXI secolo, passeggiando per il corso di Salerno o per le cittadine della provincia, la prima impressione è che sono gli avvocati a farla da padrone. Anzi, molti di loro sembrano quasi preoccupati dall’impressionante numero di legali che affollano i tribunali. Eppure, al di lá di facili e scontate battute, la tradizione dell’avvocatura salernitana è plurisecolare, raccoglie personalitá del calibro di Alfredo De Marsico e, tra i suoi nomi più prestigiosi, tantissimi magistrati e deputati dei parlamenti costituzionali e repubblicani.

Tra questi, importanti Guardasigilli dei governi del Risorgimento: avvocati come Giovanni Avossa, di Salerno (al Dicastero della Giustizia nella Luogotenenza del principe di Carignano e vicepresidente della Corte di Cassazione), Michele Pironti, di Montoro, allora provincia di Salerno (dopo l’Unitá Procuratore Generale di Napoli e presidente della Corte d’Appello, Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Ministro di Grazia e Giustizia nel governo Menabrea). Erano entrambi nomi importantissimi del Foro salernitano, a cui apparteneva anche un altro avvocato e futuro Ministro, Raffaele Conforti, che fu dal 1848 in poi uno dei grandi protagonisti del Risorgimento meridionale.

Conforti, originario di Calvanico e parente del famoso abate Gian Francesco Conforti (Ministro della Repubblica Partenopea giustiziato nel 1799 dai borbonici), diventò giovanissimo un penalista di grido, con studio prima nel centro di Salerno e poi anche a Napoli. Fu famoso per una retorica a tinte forti e imbevuta di cultura umanistica. Gli avvocati esercitavano un grande richiamo da quando (1808) era stata decisa l’apertura al pubblico dei processi. Gli avvocati difensori erano i più popolari e lo rivendicavano: Conforti, anziano, si vanterá che nessuno dei suoi difesi era mai stato condannato alla pena capitale, un risultato non da poco per l’epoca.

Alla toga univa però la politica. Era di solide idee liberali e, come Avossa e Pironti (su cui torneremo nella prossima puntata), parte della generazione che rinnovò il liberalismo meridionale dopo le tragiche vicende degli anni ’20. Iniziata la rivoluzione in Sicilia, Conforti si battè nei comitati e nelle piazze per ottenere la Costituzione, costringendo il Borbone a promulgarla alla fine di gennaio del 1848. Fu subito un protagonista. All’inizio della fugace e appassionante stagione costituzionale, il giovane salernitano fu nominato prima Procuratore Generale di quella che all’epoca si chiamava Gran Corte Criminale e poi eletto deputato nel salernitano e a Napoli. Caduti i governi Bozzelli, partecipò al ministero di Carlo Troya, l’unico vero tentativo di una radicale svolta liberale del Regno delle Due Sicilie. Faceva parte (con Di Lieto e Saliceti) di un gruppo che chiedeva il suffragio universale, la trasformazione della Camera in Assemblea Costituente e l’abolizione della Camera dei Pari di nomina Regia. Soprattutto però Conforti (e tutto il Ministero Troya) fu uno dei più accaniti sostenitori della guerra nazionale, convinto che la cacciata degli austriaci significa permettere la nascita una nuova Italia e il rinnovamento del Mezzogiorno.

Il salernitano divenne Ministro dell’Interno e cercò di dare una svolta alla inefficiente e corrotta amministrazione ereditata dal governo borbonico. Il suo intervento più celebre fu la circolare Conforti che, di fronte alla mobilitazione contadina nelle campagne, restituiva ai comuni i beni usurpati e sanciva la divisione dei demani. Fu sempre un uomo della sinistra moderata e si trovò giá allora accusato di socialismo dai conservatori e di scarso attivismo dai radicali. Dovette fare marcia indietro. Del resto, stava per tramontare la stella liberale dal Regno delle Due Sicilie. Si era giunti alla crisi del 15 maggio e Napoli era affollata di barricate. Conforti fu tra coloro che tentarono una mediazione tra il Re e i liberali meridionali, indignati per il ritiro delle truppe dalla guerra nazionale e, soprattutto, perplessi verso il giuramento al Re. Fu inutile. Dopo la sconclusionata scaramuccia di interpretazione costituzionale, Ferdinando II fece reprimere dagli svizzeri e nel sangue i difensori delle barricate. Il governo si era dimesso, lasciando il posto a un confuso ministero filo borbonico.

Conforti (con uomini del calibro di Poerio, Pisanelli e Massari), rieletto deputato, si impegnò in un durissima battaglia parlamentare denunciando l’illegalitá di un governo che, pur in nettissima minoranza tra i deputati, pretendeva di voler governare a malgrado della camera legislativa. Fu tutto inutile, la reazione borbonica era in pieno dispiegamento: repressa la rivolta in Calabria e nel Cilento, invasa la Sicilia, la Costituzione fu ritirata e iniziò la persecuzione dei liberali meridionali. Mentre tanti colleghi parlamentari affollavano le carceri di Ferdinando II, il deputato salernitano scampò alla polizia travestendosi da marinaio su una nave francese (la magistratura borbonica lo avrebbe poi condannato a morte in contumacia). Nell’esilio in Liguria e in Piemonte, dopo iniziali difficoltá, ottenne una clamorosa ascesa: si affermò nel foro di Torino, pubblicò saggi politici e giuridici, sempre su posizioni di sinistra moderata (e respingendo il radicalismo socialista del suo pur caro amico Pisacane). Fu membro della commissione per la riforma del codice penale e diventò deputato del parlamento sabaudo. Non esercitò molto questa funzione: era il fatale 1860, Garibaldi era in Sicilia e gli esuli potevano tornare a Napoli.

Conforti si precipitò al sud per riprendere l’opera iniziata nel 1848. Non aveva simpatia per Cavour e per la destra ma neppure per mazziniani come Nicotera o Matina. Mantenne una sua indipendenza e fu premiato da Garibaldi. Il Generale, giunto a Napoli, gli affidò prima il Ministero dell’Interno e poi la direzione del suo governo. L’azione dell’avvocato salernitano fu cruciale nel momento decisivo della unificazione nazionale: Conforti capì che non si poteva rischiare la guerra con Cavour. Sostenuti dalla Guardia Nazionale di Napoli e da gran parte del personale politico meridionale, Conforti e il prodittatore Pallavicino ribaltarono la decisione del governo (che voleva una assemblea costituente) e convinsero Garibaldi ad accettare il plebiscito. Fu lui, poi, a gestirlo con pugno di ferro, contribuendo al passaggio fondamentale dell’ingresso del Mezzogiorno nella nazione unita.

L’Italia era fatta e iniziava la difficile costruzione dello Stato. Ancora una volta il ruolo di Conforti fu di primo piano. Sempre nella sinistra, ricoprì incarichi importantissimi (Procuratore Generale della Corte di Cassazione di Firenze e di Napoli, senatore e vice presidente del Senato, due volte Ministro di Grazia e Giustizia con Rattazzi prima e con Cairoli dopo) difendendo idee e tesi importanti, dalla legge sul matrimonio civile alla riforma della funzione del pubblico ministero. Conforti lavorò all’unificazione dei codici ma da uomo della sinistra e da uomo del sud. Difese i garibaldini di Aspromonte come militante del Risorgimento. E fece scalpore quando in parlamento sostenne con la sua eloquenza forense la superioritá del codice penale napoletano su quello piemontese. Fino alla fine la toga e la politica animarono la passione di un grande avvocato e di un grande liberale che contribuì come pochi altri alla rivoluzione nazionale.

di Carmine Pinto


* Docente di Storia contemporanea facoltá di Lettere e Filosofia dell’Universitá di Salerno © riproduzione riservata