Il Riesame riapre le fonderie Pisano

Dissequestro totale dell’impianto, riprende la produzione Decisivi i rilievi Arpac sui livelli di emissioni inquinanti

Le fonderie Pisano tornano a funzionare. E lo faranno a pieno regime, perché il provvedimento con cui ieri pomeriggio il Tribunale del Riesame ha disposto la rimozione dei sigilli è un dissequestro totale, che consente una ripresa della produzione al cento per cento delle potenzialità dell’impianto. Giusto il tempo che i carabinieri del Noe tolgano i sigilli (si prevede già stamattina) e gli altiforni saranno riaccesi riprendendo un’attività che la magistratura aveva interrotto dal 26 giugno, con una parziale riapertura ad agosto per consentire i rilievi dell’Arpac sulle emissioni. Proprio quei rilievi sono per i giudici del Riesame un elemento decisivo, in quanto attestano il rientro dei livelli di inquinamento entro i parametri previsti dalla legge e dall’autorizzazione ambientale. Non basta – come aveva invece ritenuto il giudice delle indagini preliminari Stefano Berni Canani – che fumi e odori abbiano comunque superato i limiti della “normale tollerabilità”. All’orientamento in tal senso di due recenti pronunce della Cassazione, il Tribunale ne contrappone altre due del 2011, secondo cui «il reato di getto pericoloso di cose non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da un’attività regolarmente autorizzata (...) e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti che le riguardano». Il rispetto dei parametri implica secondo questa tesi una «presunzione di legittimità del comportamento», che i giudici del Riesame (presidente Gaetano Sgroia, a latere Giovanni Rulli e Dolores Zarone) ritengono non superata dalle segnalazioni di fumi e odori nauseabondi giunti anche ad agosto da una parte dei residenti. «Si è in presenza di fatti oggettivi incontrovertibili – scrivono – non suscettibili, come tali, di essere superati dalle pur comprensibili sensazioni soggettive di alcuni residenti nelle abitazioni confinanti con l’impianto di produzione, le cui segnalazioni, peraltro, in diversi casi non hanno nemmeno trovato riscontro da parte della polizia giudiziaria intervenuta sul posto». Il gip aveva al contrario valorizzato i casi in cui le relazioni dei carabinieri confermavano le lagnanze degli abitanti, e aveva inoltre ritenuto che le Pisano fossero sprovviste di una regolare autorizzazione ambientale integrata (l’Aia), oggetto di un’inchiesta che ipotizza per imprenditori e funzionari un concorso in abuso d’ufficio.

Nell’appello dei difensori Guglielmo Scarlato e Giulia Bongiorno la regolarità dell’Aia del 2012, è stata argomentata con la preesistenza delle necessarie valutazioni ambientali, oltre che con un parere giuridico dell’avvocato amministrativista Lorenzo Lentini e la ricostruzione di un iter snodatosi quando lo stabilimento era sotto sequestro per un’inchiesta del 2007, quindi «sottoposto alla massima attenzione da parte del pubblico ministero procedente». In questo contesto, per il Tribunale «diventa ancora più arduo ipotizzare sia la macroscopicità dell’eventuale illegittimità del provvedimento sia la collusione tra il soggetto privato e l’organo pubblico». Tanto più che l’interpretazione sulle modalità di concessione dell’Aia resta controversa. Anche sotto questo profilo manca, insomma, il presupposto su cui fondare il pericolo di reiterazione del reato, in un impianto di cui Arpac e vigili del fuoco hanno sancito la “sopravvenuta conformità”. «È del tutto evidente l’insussistenza dell’attualità e della concretezza del periculum necessario per il mantenimento del sequestro preventivo» concludono i giudici. E in undici pagine riaprono le fonderie Pisano.

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