il processo d’appello 

Il pg: «I Senatore non sono un clan» 

Chiesta una riduzione delle pene per le estorsioni a Vietri

VIETRI SUL MARE. Per il sostituto procuratore generale Pierina Consoli, che ieri mattina ha rappresentato l’accusa nel processo d’appello, gli esponenti della famiglia Senatore condannati un anno fa per una raffica di estorsioni sono sì un’associazione a delinquere, ma senza i connotati del clan camorristico che gli erano stati riconosciuti nella sentenza di primo grado, emessa in abbreviato. Per questo ha chiesto ieri di rivedere quella condanna, confermando il giudizio di responsabilità per tutti gli episodi ma eliminando l’aggravante di camorra e riducendo quindi le pene. Scenderebbe così da 8 a 5 anni la pena per il capofamiglia Roberto Senatore, accusato di aver messo in piedi un gruppo delinquenziale che stava terrorizzando commercianti e imprenditori di Vietri sul Mare, in particolare nella frazione di Dragonea. Se la Corte d’appello accoglierà la tesi della Procura generale, anche le altre condanne saranno rimodulate. Il pg ha chiesto 4 anni e 2 mesi per Alfonso e Ivan Senatore (figli di Roberto e condannati in primo grado a 6 anni e 4 mesi), 4 anni per il terzogenito Christian (5 anni e 10 mesi in primo grado) e 4 anni anche per il compagno della figlia, Alessio Salsano, che in abbreviato era stato condannato a 6 anni e 4 mesi.
Secondo la Direzione distrettuale antimafia erano riusciti a instaurare, tra il 2013 e il 2014, un clima di terrore, minando il tessuto economico e costringendo alcuni imprenditori a pagare il pizzo, minacciando ritorsioni nei confronti di chi non pagava e millantando contatti con i clan dell’Agro nocerino sarnese. Quel modus operandi gli è valso in primo grado l’accusa di camorra, che ora potrebbe però venire meno. La Corte d’Appello deciderà a giugno, dopo le arringhe dei difensori Antonio Boffa e Domenico Fasano. (c.d.m.)
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