IL PUNTO

Il palchetto reale dei politici. La cultura è di chi la finanzia

Un teatrino di corte. Sull’incantevole terrazzo ai piedi di Villa Rufolo, 340 metri sopra il livello del mare, mancherebbe soltanto un sardanapalesco palco reale qualora corrispondessero al vero le kafkiane traversie che, nelle scorse ore, hanno indotto Antonio Scurati, accademico e scrittore d’indiscusso valore, a lasciare la guida della “Fondazione Ravello”. Uno spettacolo indegno, come non se n’erano mai visti al glorioso “Ravello Festival”, che vanta una storia lunga 69 anni. Se fosse un’opera, sarebbe un inusitato incrocio tra la farsa e quel Musikdrama tanto caro all’ispiratore della suggestiva kermesse “divina”, il compositore tedesco Richard Wagner. Il padre de “L’anello del Nibelungo”, patrono laico dei ravellesi, disse che «là dove si arresta il potere delle parole, comincia la musica ».

Laddove il potere non si ferma, invece, la musica scompare. E le parole dell’ormai ex presidente colpiscono più d’un fragoroso Tristan Akkord : «I soci fondatori non rispettano la libertà intellettuale e ignorano i valori della cultura». Di qui il passo indietro, le «dimissioni da uomo di cultura e, soprattutto, da uomo libero». A poche ore dall’Editto di via Porto, sede degli uffici salernitani del Genio Civile, set di soliloqui in streaming : la bolla deluchiana su indicazioni che vanno rispettate, necessarie coincidenze d’obiettivi, presunti conflitti d’interesse e ferie a spese della Regione. Di mezzo, ospiti sgraditi. Saviano, Speranza: profili invisi al “De Luca Imperatore”, titolo d’una rubrica di Striscia che portò lo “sceriffo” alla ribalta. E il creatore di “Gomorra” ha confermato il veto. È il campetto dell’oratorio: “Il pallone è mio, decido io”. Shogun del calcetto, con la sfera sotto il braccio e la lista di proscrizione in mano. S’allungano ombre inquietanti sul Festival, se è vero quel che si dice: decide la politica, destreggiandosi lungo la linea sottile che demarca i verbi “finanziare” e “gestire”. La cultura immolata sull’altare di chi governa. Instrumentum regni nelle mani di sovrani illumati, fini conoscitori d’obiettivi e condizioni, buoni e cattivi, necessità e futilità.

Dall’alto dei cieli decide la politica, capace di demarcare yin e yang . E la politica, come il cuore, ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Il Mibact, per ricordarne una, ha costituito il comitato per il centenario d’Enrico Caruso, un po’ napoletano, un po’ sorrentino, “dimenticandosi” dei comuni di Napoli e Sorrento, della Regione Campania e del Teatro “San Carlo”. Come festeggiare san Gennaro a Predoi. Ma chi governa sa: Alessandro Magno, Augusto, i Medici, il MinCulPop che Scurati, autore d’una monumentale trilogia su Mussolini, conosce bene. Recensendo il “Tartuffe” di Moliere, Cesare Garboli, illuminato critico teatrale, scrisse che «quando il potere non nasce dal privilegio ma dalla frustrazione, ha bisogno, per esistere, di consensi occulti e di opinioni intoccabili. Tre secoli fa aveva bisogno della religione; oggi non può fare a meno della cultura». E la “Fondazione” che vide la luce nel 2002, ereditando il Festival (e la gestione di Villa Rufolo) dal (fu) Ente provinciale del turismo (ora più regionalizzato che mai), oggi non può fare a meno della Regione, il “socio di maggioranza”. Diciannove anni fa c’era pure il “Monte Paschi di Siena”: era la cassa della “Fondazione”, costituita pure da Palazzo Santa Lucia, dalla Provincia di Salerno e dal Comune di Ravello. Poi la banca è venuta meno, le province le ha svuotate lo Stato: di Palazzo Sant’Agostino restano solo le macerie. E restano Regione e Municipio. Il gigante e la bambina.

Chi finanzia comanda. Sceglie, come la Valchiria di Wagner. Pare che il compositore tedesco sia stato a Ravello poco più di mezz’ora. Francesco Maria Perrotta, primo presidente nominato nel cuore della burrascosa primavera, c’è rimasto un giorno. Ufficializzato dalla Fondazione, sconfessato dalla Regione, che voleva Scurati. E che ora non lo vuole più. Rivuole solo il suo pallone. Il posto privilegiato nel teatrino di corte. Il palchetto del politiker , l’uomo politico, quello che a Wagner non piaceva per nulla.