Il “no” ai fuochi divide i salernitani

Intellettuali e mondo delle professioni spaccati in due Sospetti sul richiamo alla sobrietà invocato dal Comune

Sobrietà o folklore. Religiosità o tradizione. Se nella “pancia” della città la scelta di campo è chiara (e la decisione del Comune di abolire i fuochi di San Matteo è bocciata senza appello) l’intellighenzia invece si divide, e spazia dall’anelito alla compostezza a una rivendicazione della festa popolare che non esclude di mettere mano al portafogli pur di garantire lo spettacolo. Per il presidente del Tribunale, Bruno de Filippis, non è certo il venir meno dei fuochi pirotecnici a inficiare la tradizione: «Premesso che la scelta spetta al sindaco e che come esponente della giustizia non c’è nulla che possa dire, a livello personale ritengo che la tradizione abbia tanti aspetti, fatti anche di contenuti religiosi e civici, e quindi non mi pare che il momento dei fuochi debba essere apicale». Il presupposto è cosa si intenda per tradizione: «Io non la ridurrei ai fuochi, le darei più spessore. Per questo non mi sento di dire che non la si rispetta se lo spettacolo non si fa». Sulla linea del “fuochi no” si schiera l’antropologo Paolo Apolito: «Credo se ne possa fare tranquillamente a meno. La scelta del Comune mi convince, perché il mondo vive un momento drammatico e questi fuochi, pur essendo di festa, non possono non ricordare quelli di guerra». Pur da cultore della tradizione, non ritiene che lo spettacolo pirotecnico sia decisivo per preservarla. Al punto da auspicare che la loro abolizione dal programma dei festeggiamenti diventi definitiva: «Spero che anche nei prossimi anni si mantenga come scelta precisa della comunità salernitana, una scelta di riflessione attorno al santo patrono».

Chi non è d’accordo è Bruno Ravera, presidente dell’Ordine dei medici: «Se sosteniamo che la festa di San Matteo è solo un evento religioso è un discorso, in questo caso è chiaro che è il vescovo a stabilire tutto. A mio avviso però è anche un momento in cui tutta la cittadinanza viene coinvolta in una festa che è profondamente popolare e non solo religiosa». E perché festa sia, il Comune è chiamato a dare il suo contributo: «Se non lo fa esercita un suo diritto – precisa Ravera – ma non deve trincerarsi dietro posizioni di altri, deve assumersi le sue responsabilità». Non è il solo a pensare che il richiamo alla sobrietà invocata dalla Chiesa sia poco più di un paravento. Lo dice chiaramente lo storico Nicola Oddati: «Non credo che si sia fatto un discorso di sobrietà dal punti di vista religioso, penso piuttosto che si sia ragionato in termini economici. Ed è un ragionamento che non condivido, perché la giornata di San Matteo è una festa e come tale i fuochi la completano. È la festa dei salernitani e anche di tutti coloro che venivano per la processione e si trattenevano per i fuochi». Chi debba pagarli, poi, è un altro discorso: «Non spetta al Comune, ricordo bene che esisteva, anche per le luminarie, un comitato per i festeggiamenti che chiedeva il contributo dei fedeli con tanto di ricevute».

Se di soldi si tratta, a tagliare la testa al toro ci prova l’avvocato Michele Sarno, presidente della Camera penale: «Le scelte di sobrietà si fanno rinunciando ai propri emolumenti, non chiedendo sacrifici agli altri e togliendo ai cittadini un momento di gioia. Comunque, se proprio il Comune è in difficoltà e mi autorizza, sono pronto a dare io il mio contributo economico perché i fuochi si facciano». E sì allo spettacolo pirotecnico lo dice anche il presidente dell’Ordine degli avvocati, Americo Montera: «Va detto che negli ultimi anni la processione è diventata piuttosto una fiera delle vanità, ma non si può disconoscere che è anche una festa. E per dirla con una metafora, la festa è festa quando si suona. Se no è un requiem».

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