Il Made in Italy solo di facciata Come scoprirlo

L’allarme dell’Aduc su etichette ingannevoli e materie prime provenienti dall’estero

Il made in Italy? Non esiste più, se non sulle etichette, spesso ingannevoli se non palesemente truffaldine. A sostenerlo è Primo Mastrantoni dell’Aduc, che sciorina una lunga lista di esempi: «La pasta è fatta con il 60% di grano duro proveniente dall’estero, come pure il 40% del pane; l’80% del latte e dei relativi derivati è estero, il 66% dei prosciutti è estero, il 50% dell’olio di oliva è estero, il 90%del tonno è oceanico, importiamo dall’Olanda 50mila tonnellate l’anno di pomodoro da tavola». Che senso ha – è l’amara conclusione – l’etichetta di made in Italy? Che è rimasto in questi prodotti di veramente nostrano? Al danno si aggiunge la beffa di etichette elusive, evasive, ingannevoli. Come quelle, per toccare un prodotto tipico dell’economia salernitana, che contrassegnano molte bottiglie di olio d’oliva “mediterraneo”: un modo soft per dire che non è italiano. «Il made in Italy esiste eccome, e va tutelato – dice il presidente di Coldiretti Vittorio Sangiorgio – Coldiretti lo sta facendo prima di tutto attraverso la Filiera Agricola Italiana, Fai, nata per porre fine al furto di identità e valore al quale la nostra agricoltura è sottoposta da decenni, per tutelare in particolare proprio le produzioni di olio extravergine di oliva, ortofrutta, pasta e latte. Gli agricoltori Coldiretti applicano disciplinari etici e certificati garantendo l’origine e la tracciabilità dei propri prodotti».

Ma Sangiorgio ammette che il problema dei “prodotti taroccati” esiste eccome e tocca da vicino l’economia salernitana: «Riguarda soprattutto il pomodoro san Marzano, l’olio extravergine di oliva, il vino, la mozzarella di bufala. Un fenomeno che causa danni economici e di immagine alla produzione salernitana e pone rischi alla salute dei consumatori. Per evitare distorsioni del mercato e infiltrazioni della criminalità organizzata, Coldiretti sta portando avanti una battaglia per una filiera tracciata e trasparente. La credibilità conquistata dai produttori salernitani è un patrimonio da difendere a tutti i costi nei confronti di quanti ancora oggi operano una concorrenza sleale».

Tocca quindi prestare la massima attenzione alle etichette verificando la provenienza del prodotto e privilegiando chi garantisce la tracciabilità. «Oggi le imprese agricole – aggiunge Rosario Rago, presidente provinciale Confagricoltura – sono obbligate a tenere il quaderno di campagna, che assicura garanzie in merito. E il fascicolo aziendale consente di identificare subito i produttori: molte aziende, anche in provincia di Salerno, si sono adeguate già dal 1994. Di recente abbiamo presentato un sistema di tracciatura con Qr Code: basta scattare una foto con uno smartphone per sapere tutto di un prodotto, finanche le analisi ed i controlli cui è stato sottoposto. Il problema quindi rimane solo per i piccoli produttori, non in grado di sostenere i costi di questi sistemi».

Per quanto ingannevole possa essere, chi cerca i prodotti nostrani deve leggere con attenzione l’etichetta. Magari con tanta diffidenza: perché spesso, dietro a bandiere e rappresentazioni grafiche che puntano diritto all’emotività del consumatore, ci sono prodotti che, di italiano, hanno davvero poco.

Remo Ferrara

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