Padre Candido

SALERNO

Il frate e la culla della vita

Nel Ruggi il fronte della sfida di padre Candido. A 91 anni ha un unico obiettivo: dare famiglia ai bimbi abbandonati

SALERNO. Una volta si chiamava “ruota degli esposti”. Nel medioevo è stata l’alternativa a numerosi infanticidi e ha dato la possibilità a tanti neonati abbandonati di trovare una famiglia che li adottasse. In chiave moderna, è questo il senso dell’iniziativa “la culla della vita”. Padre Candido Gallo, componente della cappellania dell’ospedale “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno, si è impegnato per diffondere il progetto che era stato già messo in atto ma che di fatto non era operativo. La sua attività riprende l’iniziativa dell’Inner Wheel Salerno Est che volle offrire la culla, poi istallata nel 2015. Così, dallo scorso marzo, al pian terreno del reparto di neonatologia dell’ospedale, è possibile lasciare il proprio bambino in totale anonimato. Sul cortile interno, dove ci sono due ascensori, ci si ritrova di fronte ad una piccola struttura con finestre circolari di colore giallo. Entrando, si scorge una parete con una finestra di circa sessanta centimetri, coperta da una veneziana. Premendo il pulsante, in meno di un minuto si alza la tapparella e si apre la culla termica. Lo stesso pulsante lancia anche l’allarme al reparto di neonatologia e avvisa gli operatori della presenza di un bambino. Una telecamera permette di vedere soltanto se ci sia davvero qualcuno in culla. Nessun altro sistema di sorveglianza è attivo o consente di riprendere la madre che lascia il piccolo. Massima tutela è così garantita per chi sceglie, sicuramente non senza dolore, di lasciare un pezzo di sé al Ruggi, nel rispetto della legge per il parto in anonimato (dpr 396/2000), funzionale proprio a contrastare fenomeni come l’abbandono neonatale, l’aborto e l’infanticidio.
Arrivando all’ingresso principale dell’ospedale e percorrendo i vari vialetti, si possono osservare numerosi pannelli con la scritta “non puoi tenere il figlio che porti in grembo? In ospedale c’è una culla soffice che l’accoglie”. In base alle stime in suo possesso, padre Candido ci dice che «in Italia sarebbero circa quattrocento i bimbi ad essere abbandonati in un anno». È entusiasta di questa iniziativa che ha preso forma in ospedale. Il suo obiettivo ora è quello di diffonderla al meglio e nel modo più capillare possibile. «In armonia con il direttore generale Nicola Cantone – dichiara il frate cappuccino – siamo riusciti finalmente a ottenere questo risultato. Anche grazie all’aiuto di tante persone, come la giornalista Patrizia De Mascellis, le piccole anime bianche che hanno bisogno di cure e famiglia troveranno dei professionisti pronti ad accoglierle a braccia aperte. È un passo importante che mi riempie il cuore di gioia. Anche questo è il Ruggi di Salerno».
In realtà, il lavoro di diffusione delle informazioni è più difficile del previsto, soprattutto perché l’obiettivo è quello di arrivare a tantissimi giovani. «Vorrei – continua Padre Candido – che si sappia della culla della vita dall’Agro nocerino sarnese al profondo Cilento, con particolare attenzione agli adolescenti e alle scuole. Le madri in difficoltà devono sapere che esiste un’alternativa. Ed è una soluzione che offre rispetto per la loro privacy e amore immenso per i loro piccoli». Per pubblicizzare il progetto sono state già utilizzate perfino le buste del latte, su cui è stato stampato il messaggio, ed è stato realizzato anche un annullo filatelico speciale.
Padre Candido Gallo è cappellano dell’ospedale Ruggi dal 1952. Ha novantuno anni. Ancora si arrovella su cosa e come poter aiutare il prossimo. Ha pubblicato una trentina di volumi nella sua vita. Vive al terzo piano nella palazzina del reparto di infettivologia dell’ospedale. «Anche se non sono infetto – dice sorridendo – sono circondato da tanto affetto». Ha visto con i suoi occhi migliaia di persone soffrire e affidarsi al suo estremo sacramento. È un riferimento per molti qui nell’azienda ospedaliera salernitana. Ci racconta le sue giornate fatte di letture e passeggiate in corsia. «Non c’è mattina in cui io non guardi la rassegna stampa in televisione, è importante restare informati». Non usa, però, i telefoni cellulari né i social network. Si commuove ancora quando racconta dei giorni che seguirono all’alluvione a Salerno del 1954. Le sue mani in quell’occasione servirono per scavare nel fango. Nonostante l’età e qualche dolore di troppo, continua a partorire grandi idee come quella di recuperare la culla della vita. Racconta di essere soddisfatto per come la Chiesa proceda ad orientare il suo impegno verso poveri e deboli in genere. «Papa Francesco – dice – ha una carica dirompente. Un gesuita del Sud America poteva guardare solo con semplicità la fede in Dio. Un modello per chi soffre, per chi ha fede e per i bisognosi. Le leggi non mutano l’uomo, l’esempio sì. A partire dalla prima accoglienza degli immigrati presso le singole parrocchie o da altri servizi di base, potremmo dire che il suo esempio ha prodotto un grande mutamento nella Chiesa in cui oggi prevale sempre più la carità».

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