Il fiordo e la vigna “estrema” strappata all’antica roccia

Un blend di vitigni rari danno corpo ad un bianco celebrato in mezzo mondo

Ripoli, Fenile, Ginestra, Tronto: sono i nomi dei vitigni rari che crescono aggrappati alla roccia di Furore, in vigne geometriche dove i grappoli resistono abbracciati a pergole di castagno con una pendenza del 50 per cento sul livello del mare. A guardare l’impervio fazzoletto di terra verticale che il mare sembra voler richiamare a sè da un momento all’altro, è inevitabile chiedersi come possa produrre uve così pregiate da conquistare i mercati locali e da acquisire un appeal su quelli internazionali, dalla California al Giappone passando per il meglio dell’Europa. La risposta sta tutta nella passione di Andrea Ferraioli (nella foto con Marisa Cuomo) che negli anni è riuscito a fare della tradizione di famiglia un’impresa modernissima, ma rigidamente ancorata a quella terra che gli ha dato i natali e che con devozione rispetta. Sono “vini estremi” quelli firmati da Marisa Cuomo e non a caso fanno parte dell’omonimo circuito che dalla Valle d’Aosta a Pantelleria riunisce i vigneti che crescono in condizioni particolarmente disagiate, dal punto di vista morfologico, climatico, di altitudine o latitudine. «Abbiamo un patrimonio ampelografico invidiabile - racconta Ferraioli - perchè sul territorio ci sono dei vitigni autoctoni antichissimi ed altrettanto rari. Ma la cura che richiedono è anch’essa estrema, perchè la nostra è una vigna verticale su terrazzamenti sottratti alla roccia nei secoli. Così come la cantina, che è praticamente scavata nella pietra». L’amore per il vino accompagna la famiglia Ferraioli fin dal XVI secolo: furono pionieri perfino nell’imbottigliamento, dato che il debutto è del 1942. Ma per il salto di qualità si deve aspettare il 1982: a giugno Andrea e Marisa si sposano e lui, per le nozze, decide di regalarle la vigna. Lei è a digiuno di tutto, ma grazie alla tenacia ed ai consigli di Antonio Caggiano prima e di Luigi Moio poi, riesce a diventare “la gran donna del Furore” e a farsi corteggiare da mezzo mondo per delle bottiglie la cui genuinità viene arricchita da un tocco di classe e sapienza alchemica. C’è voluto fiuto e anche coraggio. Soprattutto per lanciarsi nella produzione di quello che è oggi diventato la punta di diamante di un’azienda che produce tre bianchi a base di Falanghina e Biancolella, quattro rossi nati da blend tra Piedorosso e Aglianico ed un rosè. L’ammiraglia delle cantine Marisa Cuomo è il pluripremiato Fiorduva, miscela preziosa di Fenile, Ginestra e Ripoli. «Nel nome abbiamo voluto ricordare il fiordo di Furore, set incantevole di diversi film e della tormentata storia tra Anna Magnani e Roberto Rossellini - ricorda Ferraioli - E’ stato il nostro enologo Luigi Moio ad obbligarmi a mettere in commercio un prodotto nato in via sperimentale nel 1995. E’ figlio di uve antiche e difficili, il prezzo sul mercato sarebbe stato molto più elevato rispetto alle altre bottiglie. Moio arrivò a minacciarmi di andarsene se non lo avessi fatto. Confesso, ero scettico: quando nel 2000 lo proposi, conquistò tutti i clienti. Oggi ne facciamo 17mila bottiglie e sono tanti gli amici che si lamentano del fatto che lo centelliniamo. Ma uno dei nostri obiettivi è sempre stato quello di riuscire a garantire standard qualitativi altissimi, anche a scapito dei numeri». Il 42 per cento della produzione targata Marisa Cuomo resta in Campania, l’8 per cento in azienda, come “archivio” e per le emergenze. La restante metà viene equamente divisa tra i mercati nazionali e quelli stranieri, stregati da un’etichetta che deve la nascita al critico d’arte napoletano Nino D’Antonio: «Veniva sempre in vacanza a Furore e una volta - svela Ferraioli - mi fece vedere una collezione di guache di un tipografo napoletano, Mario Raffone, raffiguranti la costiera. Ne rimasi affascinato e decisi di farne la mia etichetta». La scelta si è rivelata vincente, come dimostrano i premi intascati e le foto che ritraggono il ministro giapponese dell’Agricoltura con l’etichetta in bella vista sulla scrivania del suo dicastero.

©RIPRODUZIONE RISERVATA