Il Castelsandra, il simbolo che nessuno butta giù

L’hotel fu confiscato alla camorra. Un cartello annuncia lavori mai cominciati

CASTELLABATE. Dalla Valle dell’Irno alla Costiera, fino al Cilento l’abuso edilizio è un tentacolo che non fa prigionieri. Le sentenze di condanna sono un evento e le demolizioni un miracolo, mentre la prescrizione del reato (non dell’abuso) dopo soli cinque anni incoraggia l’illegalità. L’inchiesta de la Città documenta il lavoro enorme e quasi del tutto sprecato delle procure che vedono andare in fumo i sigilli che carabinieri e guardia forestale mettono sugli abusi: oltre 500 in un anno, quasi 150 nel Parco del Cilento. E scopre un velo anche sul primato ambientalista di Acciaroli, ormai presunto a sentire gli investigatori. Altra novità, l’addio all’abuso di necessità: la vocazione turistica di molti progetti (non tutti) nasconde ormai le matrici speculative di residence, alberghi e bed and breakfast. Uno sfregio al territorio consumato nell’indifferenza complice dei Comuni. Quello di Castellabate ha permesso il doppio assalto all’hotel Castelsandra, conquistato dall’arroganza della camorra negli anni Ottanta e depredato di tutto dopo la confisca. Nacque sotto una cattiva stella, intitolato a un angelo. Una coppia di belgi ottenne dal Comune di costruirlo nel 74 in una delle più belle colline del Cilento e area demaniale.

Uno strappo alle regole. E lo chiamò col nome della figlia Sandra, scomparsa troppo presto. Poi fini nelle mani di Luigi Romano, legato al boss Nuvoletta e da allora in quel ritrovo di lusso di cinque piani con piscine, campi di tennis e 125 camere si consumò una pagina volgare anche della politica italiana. Molti ricordano ancora i soggiorni di ministri democristiani e faccendieri di partito a proprio agio con camorristi. Spuntò pure un piccolo zoo e 25 villette, tutte abusive. Da quando l’hotel di Luigi Romano è stato confiscato dallo Stato con le 25 sconcezze di cemento che lo circondano ancora, nessuna ruspa ha sfiorato mai il complesso. Lasciato marcire nel silenzio della pineta e delle istituzioni. L’unico a alzare la voce fu Giuseppe Tarallo, ex presidente del Parco e allora attivista senza macchia, al quale i camorristi fecero la grazia di risparmiare la vita. «Non ti uccidiamo perché non vogliamo creare un eroe nel Cilento a Napoli lo avremmo già fatto» rivela oggi Tarallo le minacce subite più volte da emissari. Nell’agosto 2016 un cartello all’ingresso del sentiero che annuncia quel che resta dell’albergo dice che “I cantieri che cambiano Castellabate” e “I lavori di demolizione delle opere abusive”. Sembra uno scherzo. A Castelsandra non cambia nulla da 25 anni. E non si vede mai una ruspa. Per radere al suolo (almeno) le villette della camorra forse ci vorrebbero i caccia della Nato, non è bastato un Comune che da queste parti ha autorizzato scempi da primato. L’altro (primato) è il piano regolatore, fermo a Castellabate dal 1984. Da allora seconde terze case, tante in attesa di sanatoria, sono spuntate in tutte le frazioni.

E quanto all’hotel perduto, pare che gli eredi Romano non abbiano perso la speranza di riprenderselo. Nel paese si racconta che l’ex sindaco Costabile Maurano si vide arrivare a casa antipatici signori che gli avrebbero messo sul tavolo una montagna di soldi e se ne andarono con un messaggio poco garbato: «Con le buone o le cattive ce lo prenderemo».

Il sindaco naturalmente rifiutò ogni altro incontro. Ma perse poi l’appuntamento con la storia quando la Regione gli mise a disposizione 600 mila euro per demolire le villette della camorra. Tra ricorsi e contestazioni, non se ne fece nulla. L’attuale primo cittadino, Costabile Spinelli, in carica da cinque anni, non sembra avere piani diversi. Proprio lui che al cemento dà il tu per mestiere. Ma chissà che le infinite vie della pineta conducano a una conversione ambientalista. «Ristrutturare Castelsandra è utopia – sottolinea Tarallo – Occorrono 20 milioni e sarebbe un segnale negativo per la pagina nera che rappresenta e l’illegittimità della costruzione, realizzata su suoli destinati solo a uso civico. E quindi abusiva».

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