Il business del sesso secondo soltanto a stupefacenti e armi

Le stime parlano di 120mila vittime dello sfruttamento Le rotte del traffico, tra “paesi transito” e microchip

SALERNO. Nelle analisi del Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza pubblica) la tratta del sesso alimenta in Italia un giro illecito che per introiti «è dietro solo al traffico di stupefacenti e di armi».

I numeri. Un affare che cambia volto a seconda di Paesi di provenienza e città di destinazione e che secondo i dati forniti nel 2010 dalla Commissione Affari sociali della Camera conta in Italia dalle 50mila alle 70mila prostitute, di cui si calcola che le minorenni siano una quota tra il dieci e il venti per cento. Il numero esatto delle lucciole, però, nessuno è in grado di dirlo con certezza. Nel 2013 un’altra analisi, elaborata dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, ha calcolato in 120mila le donne vittime di sfruttamento lungo la Penisola, e fissato nel 37 per cento quelle giunte quando erano ancora minorenni. Un aumento esponenziale rispetto ai numeri che nel 2005 forniva la cooperativa sociale Parsec, tra le più attive nell’analisi del fenomeno, che stimava le prostitute in 45mila, di cui 37mila giunte dall’estero. Nello stesso periodo si calcolava che in Campania ne esercitassero all’incirca un migliaio, comprese tra un minimo di 800 e un massimo di 1.100.

Le rotte del traffico. Secondo le ultime rilevazioni la maggior parte delle schiave del sesso continua ad arrivare dall’Africa, in particolare dalla Nigeria, da cui si calcola che provenga il 36 per cento delle donne in vendita sulle strade italiane. Le organizzazioni che le gestiscono le portano via mare, imbarcandole nei porti del Nordafrica sulle stesse rotte dei migranti. E se in Campania le africane si concentrano soprattutto nel Casertano, la provincia di Salerno è appannaggio di romene e albanesi, che in Italia costituiscono rispettivamente il 22 e il 10,5 per cento del settore. Le indagini transnazionali hanno ricostruito che dalla Romania si arriva quasi sempre con rotte dirette, spesso gestite da gruppi familiari, e con ragazze più o meno consapevoli del destino che le attende. In Albania è invece più frequente che le giovani siano rapite, sottratte con l’inganno a famiglie in difficoltà e talora smistate in nazioni transito prima di essere buttate sulle strade italiane. Uno dei crocevia è stato individuato nella Serbia, dove le vittime sarebbero stuprate e iniziate al “mestiere” per poi passare in Kosovo ed essere vendute all’asta a chi le gestirà in Italia.

Per chi arriva dal Sud Est asiatico le porte girevoli dello schiavismo si aprono invece a Cipro. Uno studio elaborato da don Fredo Olivero, della pastorale dei migranti di Torino, parla di una “banda del miliardario” che ha sede e Rotterdam e dall’Olanda smisterebbe in giro per l’Europa circa tremila ragazze provenienti da Filippine e Thailandia. «Luogo di transito è Cipro – si spiega– dove vengono “posteggiate” le ragazze finché non sono pronti i loro documenti. Nel frattempo vengono preparate al duro lavoro che toccherà loro spezzandone la volontà. È la “scuola elementare” della schiavitù sessuale».

La rete di controllo. L’ultima frontiera dello sfruttamento prevede l’inserimento di microchip sottopelle. La notizia è arrivata da Bergamo, dove il metodo di controllo sarebbe stato utilizzato da una gang di albanesi. Nel Salernitano e in Campania vicende analoghe non sono state registrate, ma la rete di sorveglianza delle ragazze è rigidissima. Sul litorale le auto degli sfruttatori girano in ronde costanti e sostano a poca distanza dalle postazioni delle “lucciole”, pronte a lampeggiare se in zona arriva una pattuglia. Se poi si avvicina qualcuno che non sia un cliente, il cellulare squilla subito: è il monito del protettore, un modo per avvertire che fuggire non si può. (c.d.m.)

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