CORSA AL QUIRINALE

I tre Presidenti di Del Mese «Oggi Mattarella o Draghi»

L’ex sottosegretario Dc ha votato i capi di Stato nel 1985, nel 1992 e nel 2006

SALERNO - L’emozione d’un giovane pontecagnanese di 38 anni che infila un foglio nell’insalatiera di Montecitorio: c’è scritto “Francesco Cossiga”. Poi i dubbi d’un maturo politico 45enne che, nel cuore di un’Italia ferita dalle bombe, con esitante grafia imprime un nome sulla scheda: c’è scritto “Oscar Luigi Scalfaro”. Poco meno di tre lustri dopo, in un Paese che è tutt’altro, un veterano, disincantato deputato di quasi 60 anni s’avvicina alla solita urna con un pezzo di carta: c’è scritto “Giorgio Napolitano”. Tre istantanee di Paolo Del Mese, colonna andreottiana della storica Democrazia Cristiana, ch’entrò in Parlamento nel 1983, quand’era un rampante manager della Sanità pubblica - nel 1980 battezzò l’ospedale “Santa Maria della Speranza” di Battipaglia e lo guidò fino al ’95 - e ne uscì nel 1994, prima d’un ritorno lungo 732 giorni, tra il 2006 ed il 2008. Dallo studiolo di Pontecagnano Faiano, tra miriadi di cimeli di famiglia, l’ex sottosegretario fissa di sottecchi il quarto giorno dell’odisseica elezione del 13esimo Presidente della Repubblica: «Prima era un’altra cosa».

In che senso, onorevole?

Sono sconcertato. Le istituzioni sono bloccate, ostaggio d’un arrembaggio cumulativo nel corso del quale ognuno si sente generale.

Qual è il motivo d’un simile caos?

La mancanza di politica. Manca il coordinamento, ed è difficile sopraggiungere ad un accordo in grado d’accontentare tutti. Una partita senza soluzione. I supplementari, poi i rigori...

Prima o poi il triplice fischio arriverà...

Il punto non è far presto, ma far bene: non basta una soluzione accettabile sul piano del merito, ma dev’essere conforme alle attese del Paese, tra pandemia, crisi economica, fonti d’energia, fondi europei.

Le partite di Mario Draghi.

Una figura eminente che, piaccia o no, ci ha salvati. Ora, fossi in lui, mi chiederei “ma chi me lo fa fare?”.

C’è una lotta tra politici e tecnici?

I tecnici e i politici sono sempre andati d’accordo: hanno bisogno gli uni degli altri.

Lei per chi voterebbe?

Il problema non è nominalistico: il nome è collegato alla costituzione della maggioranza ed al futuro del Paese. Sarà pure una soluzione da democristiano, ma per uscire dall’impasse Draghi va coinvolto: non è il capo d’un partito ma ci ha salvati. E allora deve garantirci la continuità nell’azione di governo, aiutarci ad individuare un nome.

Draghi presidente?

Se fossi a Roma, tolta l’opzione di Sergio Mattarella, che non è disponibile, voterei Draghi. E va coinvolto nell’individuazione di soluzioni di continuità.

Francesco Rutelli ha paragonato lo scenario attuale a quello che, nel ’92, portò all’elezione di Scalfaro: è d’accordo?

La situazione era molto più tragica: segnò la fine della Prima Repubblica e l’alba della Seconda, e ci s’intrecciarono le tragiche vicende dell’assassinio del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta e il terremoto di “Mani Pulite”. Eppure i partiti riuscirono a trovare una soluzione in Scalfaro, presidente della Camera. Fatti che c’insegnarono che il “Caf” era un “Cf”.

Tra Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani la spuntò Scalfaro...

Al tempo, la candidatura d’Andreotti pareva scontata, ma al mattino, prima della riunione, venimmo a sapere che Bettino Craxi e i socialisti non avrebbero votato per lui. E per Forlani sì.

Andreotti come la prese?

Fu lui a proporre di votare Forlani. Ci chiamò e ci disse: “Non fate scherzi, votate Forlani!”.

Poi il segretario della Dc si tirò indietro...

Sbagliò: fu un atto di debolezza. Senza cadere nella retorica dei poteri forti, io ricordo l’accelerazione delle dimissioni di Cossiga che aveva contatti frequenti con il pool di magistrati di Milano. Quel passaggio fu tragico: ha segnato l’inizio di un’instabilità ancor più forte per il nostro Paese, e le prime responsabilità sono legate alla rinuncia di Forlani. Non c’ha dato tempo di guardare alle riforme necessarie prima d’azzerare tutto.

Ha nominato Cossiga: nel 1985 ha votato pure per lui, giovane capo dello Stato eletto al primo scrutinio...

Un capolavoro di Ciriaco De Mita: accade quando la politica funziona.

Cosa ricorda di quei giorni?

All’epoca facevo parte dei “peones” (sorride), ero uno sconosciuto spettatore, ecco cos’ero. Ovviamente votai convintamente Cossiga. Qualche dubbio lo ebbi nel votare Scalfaro.

Perplessità che, alla prova dei fatti, si sono tramutate in rimpianto?

Assolutamente sì. Fu tutto così precipitoso, e non è stata una presidenza eccelsa. Sia chiaro, Scalfaro è una figura prestigiosa, ma il clima era davvero odioso: i politici avevano paura di camminare per strada, mentre si gridava al “tutti ladri”.

Nel 2006 la terza elezione, quella di Napolitano...

Fu di carattere politico: era scontato che la presidenza della Repubblica andasse ad un laico. Discorso già superato ai tempi di Giuseppe Saragat.

A quale Presidente è personalmente più legato?

A Cossiga: sono salito tantissime volte al Quirinale, sono stato a casa sua. Nutriva un amore viscerale per la musica classica che ho dovuto subire perché non sono appassionato come lui (sorride). Era un uomo intelligentissimo, paurosamente intuitivo e profondo conoscitore dei fatti, al di là della fama di “picconatore”.

Cosa ricorda del Cossiga privato?

Ero con lui al Quirinale, stavamo bevendo un caffè. Entrò l’usciere, annunciando il presidente Andreotti. “Fallo entrare”, gli disse. E poi mi chiese di nascondermi: “Vieni con me!”.

Nascondere Del Mese alla vista di Andreotti?

Infatti gli dissi “ma quale problema c’è se saluto Andreotti? L'ho visto prima...”. Lui, però, insisteva: “No, meglio che stai qua”. Mi portò in uno studietto riservato, pieno zeppo di giornali, riviste, whisky e cioccolata, e andò via. Dopo un quarto d’ora la porta s’aprì. Cossiga m’indicò ad Andreotti, ch’era dietro di lui, e disse: “Eccolo, il traditore!”. E scoppiò a ridere. Era divertente, ma pure strano.

Fu l’unico episodio singolare?

Macché! Un’altra volta mi disse per due giorni “Ti devo parlare”. Lo raggiunsi al Quirinale, e mi disse “Andiamo a casa”. Eravamo nel bel mezzo della composizione delle liste per le politiche. In auto mi chiese: “Non puoi vedere di candidare Lettieri al collegio come senatore?”.

E lei?

Gli dissi: “Presidente, Nicola Lettieri è un amico, ma abbiamo già raggiunto degli accordi, e non esiste proprio far fuori qualcuno per far posto a lui”.

Ha detto di no al Presidente della Repubblica?

Dovevo.

Non ci rimase male?

Non credo proprio: il nostro rapporto continuò. Pure quando smise d’essere presidente. Era una persona piacevolissima, ma era necessario prestare attenzione quando ci si dialogava, perché soppesava il fine d’ogni parola.

Chi è stato il miglior capo dello Stato?

Fino ad oggi, Mattarella: ha svolto un lavoro egregio, super partes . Peccato non sia disponibile alla rielezione. Subito dopo ci metto Carlo Azeglio Ciampi: serio, laborioso, mite. Ha contribuito a far rinascere lo spirito patriottico e l’amore per il Paese.

E il Presidente dei salernitani?

Domanda difficile, ma direi Pertini, ricordando pure i giorni del terremoto. Prima di lui, c’era distacco tra il Quirinale e la gente: poi ha colmato quel divario. E Ciampi ha fatto lo stesso.