I rifiuti diventano biogas con un reattore

Di dimensioni ridotte e modulabile, il macchinario è ideale per essere utilizzato in piccole realtà produttive

Quando si gettano via i rifiuti si pensa, erroneamente, che questo sia l’ultimo atto, la fine di un processo. Invece, come hanno compreso bene quei Paesi europei destinazione delle navi cariche di immondizia italiana, la spazzatura è una grande ricchezza, perché, tutto ciò che non si ricicla può diventare preziosa energia. È proprio da queste considerazioni che nasce Re.Bi.Co. un reattore biologico compatto per la produzione di biogas dalla frazione dei rifiuti organici. L’invenzione è di Antonio Bottini, ingegnere ambientale salernitano con una specializzazione in trattamento delle acque reflue e dei rifiuti e con una grande passione per i temi ambientali.
«L’idea è quella di mettere questo macchinario al servizio delle piccole aziende, agroalimentari, ma anche di allevamenti, mattatoi, macellerie e coltivazioni agricole green che hanno una grande produzione di rifiuti organici dalla cui lavorazione è possibile estrarre gas naturale con frazioni alte di metano, risparmiando enormemente sui costi energetici», spiega Bottini. La particolarità di questo reattore, per questo motivo particolarmente innovativo, è che è pensato proprio per le piccole realtà produttive, perché è di dimensioni ridotte, modulabile a seconda delle esigenze e comporta una spesa minima. «Non è costruito in calcestruzzo – chiarisce l’inventore – ha un impatto minimo sull’ambiente». E può essere utilizzato anche in condominii di grandi o medie dimensioni, diventando particolarmente utile per la distribuzione dell’energia in parchi con almeno otto palazzi. Il reattore è composto da una serie di moduli in acciaio che sono facilmente montabili e smontabili, quindi non si è vincolati a una struttura ingombrante e complicata da gestire. «È come se fosse un mobile dell’Ikea: la struttura può essere montata dagli addetti in poco tempo, agganciata alla rete ed essere messa in funzione. Se, ad esempio, si ha un’esigenza di produzione di cinque kilowatt sarà possibile istallare altrettanti moduli e così, a seconda del fabbisogno».
La versione base del reattore è composta da un modulo dove vengono immessi i rifiuti organici che passano in un altro modulo dedicato alla triturazione, di qui vengono incanalati attraverso una tramoggia (una sorta di imbuto) all’interno di una cisterna chiusa, una camera stagna dove si avvia il processo anaerobico del trattamento. Le condizioni sono, infatti, rese ideali per la formazione di batteri che si nutrono della frazione organica producendo un gas che, successivamente viene ripulito da tre filtri che catturano la parte impura e fanno sì che venga emesso un gas con caratteristiche assimilabili a quelle del metano. Il reattore può essere incanalato direttamente a una caldaia, oppure essere utilizzato come combustibile di motori per la produzione di energia termica o elettrica. «Se per esempio si mette una buccia di banana in un contenitore senza aria – spiega Bottini – si vedrà chiaramente che subirà una serie di mutamenti. Quello più evidente sarà il cambiamento nel colore, ma in quell’ambiente nascono anche dei batteri che agganciano il carbonio e se ne nutrono. Il gas che producono è come se fosse il segno del gradimento di quel pasto, una sorta di ruttino del batterio, per dirla nel modo più semplice possibile».
Il reattore, grazie al supporto tecnico e legale dell’avvocato Giustino Sisto è stato brevettato sia a livello nazionale che internazionale. «L’idea ha avuto uno sviluppo grazie all’insostituibile collaborazione di Rossella e Marco Priore. Abbiamo impiegato diciotto mesi per arrivare a due prototipi su scala reale e ridotta», aggiunge l’inventore. Per il grande portato innovativo, questo brevetto ha ottenuto anche importanti riconoscimenti. È stato vincitore di una delle sezioni del concorso di Confindustria Salerno sulle best practice come migliore idea innovativa sbaragliando la concorrenza di grandi aziende con importanti volumi di fatturato ed è stato premiato dal Ministero dello Sviluppo Economico. «Abbiamo avuto l’accesso a un fondo che finanzia le start up – racconta Bottini – ma tre ricercatori campani non hanno la possibilità di anticipare i capitali in attesa che ci vengano risarciti attingendo a questo fondo e, purtroppo, le banche non valutano il valore delle idee ma la solvibilità di chi le presenta». Per questo Bottino e i suoi collaboratori attendono che le aziende possano interessarsi alla loro invenzione e vogliano investire sul loro progetto anche in partenariato. (13 - Continua)
Eleonora Tedesco
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