I pm: «Scarano deve restare agli arresti»

Gli inquirenti dicono “no” ai domiciliari, mentre Carenzio va all’abbreviato. Il monsignore parla dei vertici vaticani

«Monsignor Nunzio Scarano deve restare detenuto». Lo dice la Procura di Roma, che al gip Barbara Callari ha rassegnato parere negativo sull’istanza di arresti domiciliari presentata dai legali del sacerdote salernitano, dal 5 settembre ricoverato al “Ruggi” per sottoporsi ad accertamenti diagnostici ma tuttora sottoposto al regime restrittivo della custodia cautelare in carcere. I suoi avvocati, Silverio Sica e Francesco Caroleo Grimaldi, hanno chiesto che la misura sia convertita in domiciliari in ragione delle precarie condizioni di salute, ma la Procura capitolina ha detto “no” e, secondo le indiscrezioni, anche l’orientamento del giudice delle indagini preliminari andrebbe verso il rigetto dell’istanza.

Non sono bastate agli inquirenti le rivelazioni del prelato sul funzionamento dell’Apsa (l’organo di amministrazione del patrimonio della Santa Sede, di cui faceva parte) né le accuse rivolte a personaggi di vertice del Vaticano. Una parte di quelle dichiarazioni, rese ai magistrati romani lo scorso 24 luglio, sono state rese pubbliche ieri, e aggiungono nuovi tasselli a un intreccio finanziario che vede coinvolte gerarchie ecclesiastiche e figure di primo piano dell’imprenditoria italiana. Don Nunzio parla tra gli altri dei banchieri Nattino, risponde alle domande sull’acquisto di azioni della Banca Finnat da parte dell’Apsa su mandato proprio del gruppo bancario, e va anche oltre: «Non esiste solo questo tipo di conto di Nattino – dice al procuratore aggiunto Nello Rossi e al sostituto Stefano Rocco Fava – Quello che dovrò dire io al Santo Padre è che esistono tanti altri conti cifrati e i cifrati hanno una bella cassaforte, dentro, con i documenti. Questi documenti dovranno andare nelle mani del Papa». Secondo lui il pontefice «sta facendo quello che state facendo voi magistrati, motivo per il quale io il Papa avevo bisogno di incontrarlo e di consegnare in mano a lui tutto, perché ci sono queste situazioni anomale». Di anomalie il monsignore ne segnala parecchie, parlando tra l’altro di una concorrenza tra Apsa e Ior sui tassi di interesse e del coinvolgimento di alti prelati, a cui avrebbe segnalato le irregolarità e che, per questo, lo avrebbero emarginato. «L’Apsa, pur non potendo, faceva banca – spiega – C’erano alcune cose non chiare a livello di investimenti, ne ero rimasto un po’ sorpreso tanto che ai miei superiori, e in modo particolare al cardinale Tarcisio Bertone, avevo fatto notare che l’Apsa aveva fatto tante volte operazioni bancarie, appoggiandosi su altre banche. Ma non sono stato per niente considerato».

Secondo Scarano l’organismo si serviva di istituti di credito americano e investiva in titoli azionari, ad esempio nella Nestlè. Poi c’erano i servizi resi alla clientela: «L’Apsa aveva anche dei clienti esterni, laici, che il più delle volte avevano conti cifrati, con delle lettere. C’era anzitutto un vantaggio: che si pagavano meno tasse, gli investimenti erano sicuri, tranquilli, non c’erano tassazioni particolari» Il monsignore punta l’indice tra gli altri sul suo superiore Giorgio Stoppa, ora in pensione: «A qualche cardinale o a qualche amico particolare, se per ipotesi lo Ior dava l’1 per cento, lui offriva il 2 per cento. Chiaramente quelli erano i suoi scheletri negli armadi». Scarano racconta anche di essere stato ricevuto una volta da monsignor Ferdinando Filoni, attuale prefetto di Propaganda Fide: «Mi ricevette nel suo studio privato in un orario insolito, per evitare che qualcuno ci potesse vedere; gli ho fatto presente con le carte alla mano che questa situazione era veramente molto anomala, non mi sembrava corretta, e che non avremmo noi nessun motivo al mondo di essere una banca, in quanto la banca è lo Ior. Inizialmente lui ha guardato con attenzione le carte, dopo pochi giorni mi ha mandato a chiamare di nuovo, mi ha ringraziato e mi ha detto di non parlare con nessuno, di stare tranquillo perché avrebbe preso i provvedimenti. Quando sono andato lì la seconda volta, lui è stato molto attento, mi ha guardato e mi ha detto “monsignore, da domani in poi inizia una nuova vita”. C’è stato il licenziamento di due o tre persone e poi all’improvviso, il mio superiore, il dottor Mennini, direttore delegato, era molto sorpreso, impaurito, perché ha dovuto cominciare a chiamare i suoi amici, perché chiaramente questa era una notizia bomba e tutti quanti si chiedevano chi è stato». Per questo lui sarebbe stato messo nell’angolo: «Le carte da firmare, quelle abbastanza compromettenti, non mi arrivavano più, anzi ero completamente stato spostato ancora in ufficio. Non solo spostato, ma anche controllato».

Queste cose il sacerdote salernitano ntende ripeterle al processo. Anche per questo ha scelto di andare al dibattimento, che inizierà a Roma il 3 dicembre, rinunciando alla possibilità di optare per il rito abbreviato, che chiude il procedimento “allo stato degli atti” e consente lo sconto di un terzo sulla pena. Per l’abbreviato ha optato invece Giovanni Carenzio, il broker di Pompei arrestato, con monsignor Scarano e l’ex agente segreto Giovanni di Zito, per il tentativo di far rientrare dalla Svizzera 20 milioni di euro attribuiti agli armatori salernitani D’Amico.

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