L'intervista

I Manetti Bros a Salerno: «I nostri film sono quelli che vorremmo vedere» 

I registi romani ospiti domani del festival Linea d’Ombra. «Napoli violenta e della spazzatura è ormai un brand» 

SALERNO . Antonio è il fratello dei Manetti Bros che ama di più parlare, e anche se si diverte a raccontare che quando anche Marco fa le interviste, dicono contraddittoriamente cose sempre diverse, a conversare con lui si ha l’impressione di sentire anche l’altro. Una compattezza lampante anche nei loro film, che hanno tempi e scrittura perfetti. Domani alle 20 saranno a Salerno, ospiti di Linea d’Ombra (info su www.lineadombrafestival.it) per “Incontri” la sezione salotto del festival allestito alla Sala Pasolini.
Siete ospiti di un festival che negli anni si è sempre più concentrato sul cinema come forma d’arte. Voi invece avete sempre sottolineato il carattere meramente spettacolare del vostro cinema.
Infatti non è in contraddizione. Noi facciamo film che diano emozioni, che riescano a creare quell’immedesimazione che ti fa vivere una storia da dentro. Negli anni’80 lessi un’intervista a Steven Spielberg, quando faceva prevalentemente cinema di genere, che diceva: I film che dirigo sono quelli che vorrei vedere da spettatore. Ecco, è quello che facciamo noi.
Prendete le distanze da etichette d’autore e di genere, ma “Ammore e malavita”, il vostro ultimo film, è stato definito il film che assume una posizione civile rispetto al “gomorrismo” dei film degli ultimi anni.
In questo senso, l’impegno c’è. Ma a parte Saviano e i film sulla camorra degli ultimi tempi, quello che a noi non piace, e abbiamo contestato con ironia, è un gomorrismo che va oltre il cinema, un modo di pensare e parlare della città: anche un certo modo di porre le notizie in un telegiornale è gomorrismo. Napoli violenta e della spazzatura è ormai diventato un brand.
L’ironia è un tratto caratteristico di tutta la vostra produzione. Ironiche sono anche le citazioni cinematografiche, ovunque nei vostri film: penso alla dark lady cinefila di Claudia Gerini, o a come utilizzate il genere poliziesco, l’horror, il noir nei vostri film.
Più che cinefili perché non studiamo, noi amiamo il cinema da spettatori. Ed è vero che abbiamo pensato alla moglie del boss come una specie di “mamba” del cinema di genere americano, violenta e spietata che abbiamo ironicamente reso contradditoria proprio con una cinefila da popolana, di film “pop corn”. Noi quei film non li amiamo, invece è vero, le nostre preferenze vanno ai noir e ai polizieschi.
Voi siete romani, di padre toscano e madre calabrese, ma vi sentite più meridionali nei valori. Dite che la troupe è come una famiglia, vostra madre è sempre con voi, e vostro padre è stato vostro scenografo. Un po di gomorra dei valori del clan familiare c’è anche in voi?
Le mafie del sud sono state portatrici in termini paradossali di valori tipici di noi meridionali. Solo che loro le hanno rivolte al male, per noi invece sono valori solo positivi. Crediamo profondamente nella solidarietà, nell’aiuto reciproco tipico dei rapporti familiari, imprescindibili e che invece, anche a causa delle mafie sono valori che si stanno perdendo. Detto questo, il nostro modo di lavorare con persone che non sono solo colleghi di lavoro viene da lontano, proprio dai nostri genitori, attori di teatro off negli anni’70, quando tutti facevano tutto ed erano appunto una “famiglia”.
Annalisa Vecchio
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