I fratelli Pizza, la scalata partita da Salerno

Originaria di Sant’Eufemia di Aspromonte, la famiglia si era trasferita nel quartiere Torrione

SALERNO. Nell’inchiesta romana compaiono anche due nomi di salernitani di adozione: i fratelli Raffaele e Giuseppe Pizza. Originaria di Sant’Eufemia di Aspromonte, la famiglia Pizza si trasferì a Salerno, in via Grisignano, nel quartiere Torrione. Giuseppe (Pino per gli amici) e Raffaele (Lino) sono rispettivamente il primogenito e il secondogenito. Pino fin da giovanissimo ha la passione per la politica e diventa il leader dei giovani democristiani e come tale entra anche nella segreteria provinciale del partito. Il giovane ha spiccate qualità e poco dopo diventa segretario nazionale del movimento giovanile Dc. Poi, però, Pino e tutto il suo gruppo che si identifica con la corrente sinistra di base di Ciriaco De Mita, vengono stoppati da Amintore Fanfani. Torna alla ribalta all’epoca di Berlusconi, perché tra l’altro è il detentore legale del simbolo dell’ormai disciolta Dc, e viene nominato sottosegretario alla Cultura. Chi lo conosce lo descrive come persona molto generosa, disposta a farsi in quattro per gli amici. Ha solide conoscenze negli ambienti politici e ministeriali e può darsi che a lui si sia rivolto anche il fratello Raffaele, che giovanissimo si trasferì e si sposò a Roma. Di Lino, commercialista, si racconta che ha sempre avuto la passione per l’ingegneria finanziaria e di lui si parla come di un rampante, di uno che bada ai soldi.

Il terzo dei fratelli, Luigi Pizza, è invece rimasto a Salerno, città dove, a seguito delle pressioni esercitate da Scarlato, è stato anche consigliere comunale. Luigi, però, si dedica essenzialmente alla professione medica, conseguendo diverse specializzazioni. Attualmente è a capo di un dipartimento Asl nell’Agro nocerino.

Infine, c’è il quarto e ultimo fratello, Massimo Pizza. Probabilmente è quello che più degli altri ha fatto parlare di sé. Massimo ne ha combinate di cotte di crude in tutta Italia e anche all’estero. Se si digita il suo nome su un motore di ricerca escono decine di articoli che lo riguardano. Finì in carcere a Potenza nell’inchiesta che coinvolse anche Vittorio Emanuele di Savoia per la vicenda delle macchinette videopoker. L’allora pm Woodcock raccolse ben 326 pagine di sue dichiarazioni spontanee, dove diceva di aver fatto parte anche dei servizi segreti (ma i Servizi smentirono) e di essere stato un ispettore dell’Onu in Africa.

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