il caso

I farmaci oncologici rubati e le società di comodo

La gang piazzava i costosi prodotti in tutta Italia. Le intercettazioni ambientali

CAVA DE' TIRRENI. Transazioni su conti esteri, società formate in Grecia e Ungheria, depositi di merce a Cava dove venivano stipati i medicinali rubati negli ospedali: la rete di Eduardo Lambiase, il deus ex machina del traffico di farmaci era ampia.

E l’esigenza di arrestarlo è stata dettata proprio dalla circostanza che potesse ancora una volta organizzare i suoi traffici. Il giudice Gianluca Petragnani Gelosi del tribunale di Bologna che ha disposto l’arresto del farmacista cavese e dei suoi 17 complici non fa sconti al professionista e a coloro che hanno coadiuvato l’associazione per delinquere organizzata che operava in tutto il Nord.

Era il 2014 quando due furti messi a segno nelle farmacie di Monselice e Pieve di Sacco misero i carabinieri di Ferrara sulle tracce di Lambiase e dei suoi complici più fidati, Settimio e Antonio Caprini, l’ingegnere pompeiano e suo figlio, che davano indicazioni agli esperti in furti su quali farmaci reperire per trasferirli all’estero. Il resto era una partita di giro di false fatture e società fantasma con sede nel Nord e nell’Est Europa.

L’amministrazione delle società da parte di Lambiase e dei Caprini avveniva tutto attraverso transazioni on line, una gestione capace di movimentare centinaia di migliaia di euro per farmaci costosissimi e introvabili nei paesi europei dove venivano smistati. Proprio nel 2014, molti dei farmaci trafugati nel Nord Italia da Vincenzo e Pasquale Alfano – due spregiudicati napoletani che grazie agli agganci con napoletani a Nord che verificavano gli ospedali da trafugare e agivano indisturbati scassinando le cassaforti farmaceutiche – vennero ritrovati a Cava. Il blitz dei carabinieri, il 2 luglio di quell’anno, in un deposito riconducibile a Lambiase. Il deposito in Cava era in uso al gruppo capeggiato da Alfano – sostiene il giudice per le indagini preliminari - grazie al contributo di Eduardo Lambiase che disponeva di uno o più garage. I lotti di produzione corrispondevano a quelli rubati. E il cerchio cominciò a chiudersi. E poi, le cimici sull’auto di Vincenzo Alfano, hanno fatto il resto. Intercettazioni ambientali, perché quelle telefoniche furono difficili. I ladri di farmaci erano accorti. Cambiavano schede telefoniche, si organizzavano chiamando da cabine pubbliche e parlavano in codice.

Incontri a Pompei per definire l’organizzazione e la spedizione delle medicine all’estero e sopire i contrasti e gli inconvenienti insorti durante il traffico. E quando ci furono i primi indizi che gli inquirenti erano sulle loro tracce, gli indagati non si lasciarono spaventare e Alfano parlando di Caprini padre e di Lambiase dice: «Mica è finito all’ingegnere il mondo, abbiamo altre 4-5 società che stanno già pronte, pronte che già si può lavorare, già mi hanno lasciato, già c’è uno che abbiamo lasciato l’accordo solo che lui (Lambiase, ndr) non vuole ancora farla lavorare perché questa società che lui ha creato sempre falsa con 3.000 (tremila) euro tutto il casino senza fare troppo casino, questa società che ha fatto, si è fatta le fatture di copertura».

Ed è sempre Alfano a svelare i piani di Lambiase: «Vuole fare prima questa – dice il pregiudicato napoletano – una volta che ha preso i soldi da qua lavoriamo anche con quest’altra, c’è un’altra ditta accreditata che lui ha aperto a Castel San Giorgio e prossima all’apertura, un’altra tra un mese e mezzo apre».

E proprio gli Alfano avevano aperto conti correnti in Romania per effettuare le transazioni e incassare i soldi della vendita dei farmaci rubati. Conti correnti sui quali finivano i proventi illeciti dell’associazione.

Ma la copertura e quelle società sono durate poco tempo perché i carabinieri erano già sulle tracce di Lambiase e degli altri complici.