Gonfiate le parcelle di “Scafati Sviluppo”

È l’ipotesi dell’Antimafia che indaga sulla società nata per completare la reindustrializzazione dell’area ex Copmes

SCAFATI. Sarebbero gonfiate le parcelle dei consulenti di “Scafati Sviluppo”. A sostenerlo è la Procura Antimafia di Salerno che dal settembre 2015 indaga sul presunto patto tra politica e camorra nella città dell’Agro. L’inchiesta condotta dal pm Vincenzo Montemurro continua a focalizzarsi sulla società partecipata del Comune, dichiarata fallita giovedì scorso dal Tribunale di Nocera Inferiore e su cui ci sarebbero ancora zone d’ombra. A partire dalle consulenze che si sono rivelate anche determinanti per il crack ratificato nei giorni scorsi dal giudice Mario Fucito.
Gli atti al momento sono nelle mani dei consulenti della Dda, ma, secondo una prima ricostruzione dei fatti, il quadro sarebbe già delineato. I professionisti esterni alla società, dunque, avrebbero guadagnato più del dovuto rispetto a quando indica il mercato. Una gestione ritenuta discutibile dalla Dda, tanto da portare al fallimento della partecipata nata per completare la reindustrializzazione dell’area ex Copmes. Tutto infatti porta all’area di via Catalano, dove per l’Antimafia si sarebbero concentrati i maggiori interessi dei politici e non solo. In questo scenario, dunque, fondamentali potrebbero essere le dichiarazioni di Vincenzo Cucco. Il commercialista casertano con base a Parma, infatti, sarà ascoltato da Montemurro dopo la pausa pasquale. La Dda lo farà dopo che, nelle scorse settimane, ha acquisito la relazione che l’ex presidente della “Scafati Sviluppo”, rimasto in sella meno di una settimana, ha inviato ai Commissari ministeriali per rifiutare l’incarico alla guida della società di trasformazione urbana.
Le parole del commercialista casertano, che ha parlato di un buco di 7 milioni di euro, non sono passate inosservate e andrebbero a confermare la tesi della Procura sulle consulenze a peso d’oro. Cucco, dalla lettura dei bilanci della “Scafati Sviluppo”, rilevava «la mancanza della formula di rassicurazione, oltremodo opportuna per quelle società, come le Stu, che espongono fra le rimanenze dell’attivo circolante gli immobili in ristrutturazione e riqualificazione, oggetto di successive cessioni». Tutto ciò avrebbe portato a una perdita costante della società. «Dalle visure si rileva che i valori delle rimanenze nel 2014 (12.216.873 euro) e nel 2015 (15.843.923) non può essere considerato verosimile, in quanto superiori al valore di mercato», ha continuato Cucco. «Se, infatti, il patrimonio netto 2014 e 2015 (ma vanno indagati anche i precedenti) supera di poco i 4.400.000 euro, viene da sé che, riportando le rimanenze in bilancio a un valore rispondente alle quotazioni di mercato nell’ottica di realizzo (che, in base alle informazioni catastali e rinvenibili dalla media degli atti di vendita 2016 non dovrebbe superare gli 8 milioni di euro), vi è una altissima probabilità che la società operi abusivamente da almeno due anni».
Domenico Gramazio
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