l’ultima notte degli ospiti

Giuseppe, Pantaleeva e Mamadou «Per molti di noi questa era casa»

Si respirava un’aria pesante, domenica sera, all’albergo popolare Koinè. Per gli ospiti accolti, al momento soprattutto clochard e immigrati (ma in passato anche persone originarie di Salerno e...

Si respirava un’aria pesante, domenica sera, all’albergo popolare Koinè. Per gli ospiti accolti, al momento soprattutto clochard e immigrati (ma in passato anche persone originarie di Salerno e provincia), e i lavoratori della cooperativa Livingstone si apprestava infatti l’ultima notte prima della chiusura, prevista per ieri mattina. Un avvenimento che ha gettato nubi nere sul loro futuro. «Si conclude così una storia durata quasi trent’anni – spiega l’addetto alla reception – Un’esperienza, unica nel suo genere, a metà tra il sociale e il turismo, mossa dal principio di accogliere, senza pregiudizio, italiani e stranieri, lavoratori e clochard, turisti e migranti». I muri della struttura, solitamente tappezzati di poster e bandiere, hanno adesso un colore indefinito, anonimo; la stanzetta della reception, scarna e disadorna, è un via vai continuo di gente.

Le storie. «Allora domani ce ne dobbiamo andare?» chiede Antonio, pensionato con problemi di salute legati ad una forma di depressione. Originario di Torre del Greco, ha trovato nell’ostello Koinè un ambiente confortevole dove trascorrere le sue giornate, in compagnia di altre persone con le quali scambiare quattro chiacchiere. Tra i circa quaranta ospiti c’è chi, come il senegalese Mamadou Gueye, per tutti “Paco” (primo membro della folta comunità proveniente dal Senegal accolto nel centro), è presente nella struttura, anche saltuariamente, sin dalla sua apertura, avvenuta nel 1989. Altri, come Giuseppe Carrera, hanno paradossalmente la residenza proprio in via Angelo Napoletano 10, lo stesso indirizzo del Koinè. «Mi è stata concessa dall’ufficio anagrafe del Comune quando, nel 2014, ho rinnovato la carta d’identità – spiega Carrera - Alle istituzioni chiedo quindi di trovare per noi una nuova soluzione, aiutandoci ad esempio nella ricerca di una nuova sistemazione, compatibile con la nostre possibilità economiche. Quando ho saputo della chiusura – aggiunge – non sono riuscito a chiudere occhio per giorni». Sessantotto anni, originario di Bergamo, Carrera è arrivato a Salerno nel 2004, inseguendo un amore tormentato, finito poi male. Da dodici anni alloggia presso l’ostello, pagando una retta mensile di poco inferiore ai trecento euro, il massimo che può concedersi con la sua pensione di operaio metalmeccanico. Per i pasti si rivolge alla mensa dei poveri “San Francesco”, in via D’Avossa. «In passato ho commesso uno sbaglio, pagato a caro prezzo – ammette Carrera, il volto corrucciato e segnato dalle rughe – Ho avuto però la fortuna di incontrare persone splendide tra il personale dell’ostello, le quali mi hanno fatto sentire di nuovo parte di una famiglia, restituendomi la dignità. Sono sinceramente dispiaciuto per il loro futuro lavorativo».

Il dramma. Ancora più difficile è la condizione della signora Pantaleeva, sessantasei anni, originaria della Bulgaria. Arrivata in Italia nel 2007, ha lavorato per anni come badante sul territorio salernitano prima che le venisse diagnosticato un tumore alla gola. Dopo l’operazione e il ricovero presso l’ospedale Ruggi, la signora Pantaleeva è ospite fissa dell’ostello Koinè da marzo 2015; da qui riesce a seguire i cicli di chemioterapia ai quali deve sottoporsi. «Sono stata riconosciuta invalida al 100% – afferma l’anziana indicando il collo – Inoltre, ho serie difficoltà nel camminare. Sono sola, le mie figlie vivono in Germania ma possono spostarsi raramente. In questa struttura, tuttavia, riesco a conservare la mia autonomia. In un dormitorio – aggiunge - per me diventerebbe ancora più drammatico. Quand bisogna liberare le camere, io dove vado?». L’esigua pensione percepita dalla signora bulgara non è sufficiente nemmeno per coprire i costi della sua permanenza al Koinè; nel mese di gennaio, come riferisce lo staff della struttura, la Caritas ha provveduto a pagarle sei notti.

Le incognite. Nell’ultimo periodo sono transitati dal centro una famiglia di rifugiati siriani e tre richiedenti asilo affidati dalla Polizia stradale. «Si tratta infatti dell’unico centro di prima accoglienza presente in città – affermano dalla cooperativa Livingstone – Quale che sia il futuro dell’ostello Koinè, le istituzioni hanno il dovere di dare una risposta a queste persone».

Alberto Gentile

©RIPRODUZIONE RISERVATA