LUTTO NEL CILENTO

Giorgia e il binario del dolore

Il dramma della 15enne e il biglietto d’addio tra le mani della comandante

Il binario del dolore è l’impietosa coincidenza d’un destino che si mangia l’anima, perché a certe età dovrebbe esser vietato morire, anche per propria scelta. Giorgia era bella. E non aveva neppure compiuto 16 anni. Ne aveva ancora meno di lei, nel 2004, proprio quando Giorgia nasceva, la comandante della Compagnia carabinieri di Agropoli, valente ufficiale alla guida dei militari che hanno operato sul luogo della tragedia accanto alla Polfer (cui spettano le indagini sugli episodi avvenuti in stazione). Il capitano Garello all’epoca, tre lustri fa, era semplicemente Fabiola, una ragazza con i sogni d’ogni adolescente, poco più giovane di Giorgia. Il destino ha voluto che proprio a una delle prime comandanti donna dell’Arma in provincia di Salerno sia capitato tra le mani il biglietto a cui questa giovanissima studentessa, che donna non potrà mai più diventare, avrebbe affidato le “ragioni” del suo gesto. Il più estremo.

La resa all’esasperazione e al dolore per aver perso pochi mesi fa il fidanzato che tanto amava - anche lui suicida - e al quale Giorgia continuava a dedicare pensieri d’amore attraverso i social, personalissime lavagne dei nostri flussi di coscienza in una nuova modernità che si fa fatica a contenere. Un tempo, il nostro, che ha trasformato gli “stream of consciousness” di James Joyce in una raffica di post, ciascuno con i suoi like, le sue emoticon e le sue emozioni, i suoi significati impliciti e quelli indecifrabili. Già, i social. Il senno del poi, ch’è materia da profeti del giorno dopo, suggerisce che tra il detto e il non detto anche la tragedia dello scorso sabato alla stazione di Agropoli sarebbe stata in qualche modo annunciata. Come se le “storie”, le bacheche e le condivisioni governassero pure i sentimenti. Giorgia è nata in quest’era qui. E ci scuserà se è in questo modo balordo che noi proviamo a capirla, a interpretare i motivi che l’hanno spinta a lasciarsi travolgere da quel treno in corsa. È una figlia del 2004, Facebook non esisteva ancora, Instagram neppure.

L’approccio adolescenziale cominciava a farsi più semplice, senza l’imbarazzo del faccia a faccia a carte coperte, perché il telefonino era ormai nelle tasche di tutti, con le prime fotocamere a farci sentire nell’era del Grande Fratello, quello di Orwell, oltre che di Canale 5 (già entrato nelle nostre case da qualche anno). Conversare via sms costava caro e così i computer, rigorosamente gli “scatoloni” fissi perché i cellulari sempre connessi a internet erano ancora roba da straricchi, si facevano preferire. Le prime chat con Mirc, poi la comunicazione a suo modo estemporanea di Messenger, i trilli che sostituivano gli squilli, (solo) apparentemente vuoti di significato, la descrizione del proprio “stato” (d’animo, sottinteso) per raccontarsi e magari lanciare i primi messaggi criptici. Giorgia è cresciuta nell’era dei social ormai ultra-evoluti, appunto, e saprà perdonarci se, semplicemente “spiando” i suoi ultimi scritti, parliamo di lei senza neppure il ragionevole dubbio del condizionale. È il nostro modo, irrispettoso ma non meno angosciato, di sentirci lì accanto. Seppur impotenti. Su quel binario del dolore.