L'inchiesta

Fuorni, in nove in una stanza

Il racconto del cittadino rumeno che ha fatto condannare il Ministero: "Dovevo farmi bastare due metri quadrati di spazio per 23 ore al giorno"

SALERNO. «Durante il periodo di detenzione sono stato vittima di un trattamento disumano, costretto a stare in spazi stretti ed angusti, dove non vi era alcuna privacy». Inizia così il racconto di C.C., 33enne di nazionalità rumena, ex detenuto del carcere di Fuorni per il quale, nei giorni scorsi, la dottoressa Lucia Cammarota del Tribunale di Salerno, con un’ordinanza di trenta pagine, ha accolto il ricorso di risarcimento danni presentato dal suo avvocato, Antonio Mondelli, condannando il Ministero della Giustizia, per trattamento inumano. «Sono stato detenuto - evidenzia l’ex recluso che ha scontato la sua pena per una serie di reati – nella cella numero 7 del secondo piano del carcere di Fuorni, dal febbraio 2012 all’agosto 2013, quindi nella cella numero 18 da agosto 2013 al settembre 2014. Due anni che non dimenticherò mai per le disavventure che sono stato costretto a patire. Al di là del periodo di isolamento – sottolinea – le altre due celle in cui ho vissuto misuravano in totale 16 metri quadrati escluso il bagno. Uno spazio questo che condividevo con altre 8 persone. Escludendo i mobili, lo spazio fruibile da ognuno di noi era di 2 mq».

Davvero uno spazio ristrettissimo dove il giovane trascorreva intere giornate respirando sul collo dei compagni di cella. Le condizioni igieniche erano inadeguate: «I servizi igienici non erano collocati in un vano separato ma erano ravvicinati ai letti di noi detenuti; tra i sanitari, fatiscenti, soggetti a ingorghi e maleodoranti era presente solo un lavabo; non c’era una doccia o un bidet per provvedere, all’occorrenza, alla propria igiene personale». «Potevamo infatti – precisa – lavarci solo tre volte a settimane nelle docce comuni, quando queste funzionavano». Ma anche qui il trattamento «non era migliore perché nelle aree adibite ai servizi igienici non scorreva acqua calda e quindi era impossibile qualsiasi adeguata e quotidiana igiene personale».

Nella cella, affollattissima, anche l'aria era un lusso: «C’erano solo due finestre – - prosegue il suo racconto il 33enne – dotate di sbarre. Freddo di inverno e caldo asfissiante in estate. «Il riscaldamento era scarso così come l’aerazione quindi di fatto c’era un freddo pungente in inverno e un caldo intenso d’estate, con un’umidità permanente che ti entrava nelle ossa e provocava il continuo distacco di intonaco dalle pareti». «Molto spesso – ha posto in risalto – eravamo noi detenuti a provvedere alla pulizia degli spazi, ma molte volte non c’erano prodotti in quantità sufficiente per poterlo fare».

Altra parentesi è quella relativa al vitto: «Per mangiare venivamo stipati in luoghi stretti ed inidonei con una insufficiente areazione». Ma la cosa che l’ex detenuto tiene a puntualizzare è che gli spazi stretti e angusti erano la sua casa quotidiana per quasi tutta la giornata. «Dovevo farmi bastare – racconta ancora – quei 2 metri quadrati di spazio per oltre 22 ore e mezzo al giorno visto che potevo uscire per una passeggiata e respirare un po’ di vita fuori dal carcere solo per un’ora e un quarto al giorno». E ancora: «Non potevo lavare le coperte che mi portavano i miei familiari, che si preoccupavano per me visto il freddo che pativamo nella stagione invernale, potevamo lavare solo i copriletti forniti dal carcere, ma una volta ogni tre settimane. Come dovevamo farci bastare spazzolino, dentifricio e persino la carta igienica, che ci venivano riforniti ogni tre settimane e non ogni settimana, come da regolamento». Infine «nessun rapporto o contatto con educatori, indispensabile per ogni detenuto». L’odissea vissuta dal giovane rumeno ha portato l’avvocato Mondelli a sottoporre al giudice la «disumanità delle condizioni di detenzione» vissute, appellandosi, tra le altre, alla sentenza Torreggiani che ha visto la Corte Europea condannare l’Italia per trattamento “inumano e degradante per aver tenuto i quattro ricorrenti in una cella di circa 9 mq con altre due persone”. Il legale ha posto attenzione inoltre all’articolo 27 comma 3 della Costituzione nel quale viene stabilito che la pena detentiva “non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Il giudice, la dottoressa Cammarota, ha accolto quasi in toto i rilievi mossi, ad esclusione di quelli relativi all’areazione ed al riscaldamento, condannando il Ministero della Giustizia al pagamento di 8 euro al giorno a favore del giovane rumeno per i circa 600 giorni di detenzione trascorsi nel carcere salernitano.

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