Freddo polare: occupati tutti i posti nei dormitori

Aumentati gli ospiti al centro “Don Pirone” e al polo della Caritas nei Barbuti La Protezione civile ha aperto la stazione della metro di Mercatello

Antonio l’hanno trovato in un cartone, ripiegato su se stesso come un gatto per farsi calore. Erano giorni che non beveva, e tra i gas di scarico del piazzale della stazione, ha preso la prima bottiglia che gli è capitata davanti. Era acido. Sarebbe morto lì, se Gaetano Schettino, uno dei volontari del centro don Giovanni Pirone, non l’avesse trascinato in ospedale e curato per oltre un anno. Da sei Antonio vive lì. E’ ospite fisso di uno dei ventotto posti letto nei quali si alternano gli homeless. Quelli che scelgono di non volere pareti intorno, e quelli, molto più numerosi, che si sono visti strappare il tetto dalle banche, dalle finanziarie o dagli usurai. Sono tanti. E ce ne accorgiamo ogni qualvolta le colonnine di mercurio precipitano verso lo zero. Con la neve, da lunedì, a Salerno, è tornata anche l’emergenza dei senza tetto. «Se ne parla solo in questi periodi dell’anno, come se non esistessero», tuona il presidente dell’Humanitas Roberto Schiavone. Perchè, in fondo, camminando nei giardinetti di Torrione, lungo l’Irno, tra i vicoli che attraversano la stazione ferroviaria, sotto il ponte di via Ligea, a quei corpi stretti nei giornali, nessuno fa quasi mai caso, come se fossero elementi di un osceno arredo urbano. «L’altra sera abbiamo passato al setaccio le zone dove abitualmente sostano per fornire loro un piatto caldo e delle coperte. Potremmo fare di più: possediamo una tensostruttura che può ospitare venti persone - continua Schiavone - Ma finora nessuno ci ha contattati». L’allerta è invece arrivata dalla Protezione civile: lunedì notte, quindici volontari, con il consigliere comunale Augusto De Pascale, hanno aperto le porte della stazione della metropolitana di Mercatello per accogliere i clochard. Prima è stata la volta di una famiglia di rumeni, poi di sei persone (due cechi, tre mediorientali ed un italiano), a cui l’associazione l’Abbraccio ha preparato la cena. Pasta e fagioli, frittata, frutta e dolce. «E’ una situazione tampone - spiega De Pascale - è evidente che via dei Fornari non può rappresentare la soluzione, perchè mancano spazi adeguatamente attrezzati». Con sacrificio, se li è costruiti, con un gruppo di amici, don Franco Fedullo, che quasi vent’anni fa, ha creato un centro di prima assistenza nei locali attigui alla chiesa di San Giuseppe lavoratore, in via Bottiglieri. I ventotto posti sono al completo. «Ma con questo freddo, arriveranno ancora tante richieste - spiega Schettino - Apriremo la porta a tutti. Abbiamo anche cinque ospiti fissi». Un diabetico strappato a una litoranea selvaggia di rifiuti, che ha rischiato di morire cieco tra vecchi copertoni. Un malato di tumore che stava per perdere un piede. E decine di volti che si rincorrono, nelle sere d’inverno, alla ricerca di un letto transitorio. Dall’altra parte della città, nel centro storico, la Caritas ha rafforzato i servizi di accoglienza e per il grande freddo il dormitorio di S. Maria dei Barbuti è aperto ventiquattro ore. «Sono una ventina gli ospiti ogni sera – spiega il direttore don Marco Russo – ma non ci limitiamo ad offrire un ricovero per la notte. Per loro c’è la possibilità di una doccia calda, di cambiare gli abiti, di un pasto». Il ricambio è veloce. I nuovi clochard aumentano, confermano dai servizi sociali del Comune. Contarli è quasi impossibile, perchè molti vivono nell’ombra di una dignità che resiste all’indigenza. «Da noi vengono - commenta Schettino - perchè sanno che come San Giuseppe Cottolengo, non chiediamo che nome abbiano, ma quale sia il loro dolore».

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