L'INCHIESTA

Fonderie Pisano, l’atto d’accusa della Cassazione 

Ecco perché i giudici della Suprema Corte hanno annullato il dissequestro dell’impianto di Salerno

SALERNO. Un decreto dirigenziale del 2012, che dava il via libera all’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), emesso sulla base di una cartografia che considerava poco più del 50% dell’area produttiva effettivamente occupata dall’azienda; ed il principio secondo il quale i giudici, nella sua ordinanza, non hanno tenuto conto dell’impatto delle emissioni olfattive moleste provenienti dall’impianto, limitandosi solo a considerare che tali immissioni nell’aria rientravano nei limiti tabellari previsti dalla legge. Sono questi i due passaggi fondamentali delle motivazioni con le quali i giudici della Terza Sezione della Corte di Cassazione (presidente Giovanni Amoroso, relatore Vito Di Nicola) lo scorso 28 settembre hanno accolto il ricorso presentato dal procuratore della Repubblica di Salerno, Corrado Lembo, contro la decisione del Tribunale del Riesame che aveva annullato il sequestro firmato dal gip dello stesso Tribunale il 5 luglio del 2016, disponendo il dissequestro delle Fonderie Pisano. Gli atti sono tornati al Tribunale del Riesame: la questione giudiziaria, dunque, dovrà essere valutata ora nel solco tracciato dai magistrati del “Palazzaccio” che, nelle oltre 24 pagine di motivazioni pubblicate ieri, ripercorrono passo passo l’intera e complessa vicenda giudiziaria che ha come nucleo centrale - quello che ha poi indotto i giudici del Riesame a dissequestrare l’impianto - proprio quell’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata nel 2012 che per la Procura salernitana sarebbe stata fondata su false attestazioni. Nella cartografia a sostegno della richiesta di Autorizzazione, infatti, sarebbe stata completamente omessa «la presenza di uno dei manufatti destinati alle attività industriali, con la conseguenza che non sarebbe stato evidenziato un immobile che rappresentava circa il 50% dell’intero impianto».
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