Fasci littori al Diana di Salerno, esplode l’ira dei partigiani

Ma critici d’arte e architetti appoggiano la scelta: "Filologicamente coerente. Non si può pensare di cancellare la storia"

Oggi la facciata è anonima. E il ricordo più recente è quello di un cinema porno come tanti, negli angoli del mondo. Costeggiando il perimetro del Diana, scovando nei cassetti della memoria, i “partigiani” alzano la voce. E più s’immaginano quei quattro fasci littori che andranno a decorare la facciata dell’ex Casa del Balilla, più gridano forte la loro rabbia. «Sono senza parole - sbotta Luigi Giannattasio dell’Anpi - Anzichè cancellare un momento che tutti dovremmo dimenticare, lo si ripropone alimentando le fantasie di gruppi neofascisti che scimmiottano un’epoca fortunatamente alle spalle». Una scelta «di dubbio valore scientifico e storico - storce il naso Ubaldo Baldi, consigliere nazionale associazione perseguitati politici antifascisti - Ricordo che i fasci littori furono distrutti dal furore popolare a luglio del 1943». Non si tratta di voler cancellare la storia, incalza Vittorio Salemme, «ma alimentare i simboli di quell’epoca mi sembra eccessivo». La filosofia che sottende il restyling affidato allo studio Asnova - è bene precisarlo - è filologica, non politica. Tant’è che per chi di arte e di architettura vive, la scelta di Nuccio Spirito - che ha deciso di ispirarsi ad una rara foto del 1933 - non solo è legittima, ma preziosa. Per recuperare una fetta di storia che non può essere ignorata.

«Di tracce dell’architettura del regime, Salerno è piena - commenta Massimo Bignardi, storico dell’arte - Rispetto all’anonimato del periodo che va dagli anni ’50 agli ’80 è un’iconografia caratterizzante che consente di conoscere il passato». Riscoprire gli aspetti urbanistici rimasti sepolti, incalza il critico d’arte Stefania Zuliani, «è sempre un’operazione filologicamente giusta. Meglio ancora se si inserissero dei pannelli didattici per riammagliare il racconto dell’architettura di quegli anni in un dialogo con altre strutture dell’epoca, come il Vestuti». I fasci, poi, «sono una documento, un reperto - sottolinea l’architetto Luigi Centola - Spirito fa bene a recuperare uno stile». Se intesa come operazione memoriale, «è valida - sostiene la gallerista Tiziana Di Caro - perchè certe fasi del passato, per quanto terribili, ci appartengono, anche se da un punto di vista ideologico o politico c’è da fare più di una riflessione critica». Ma l’architettura non può essere imbrigliata dalle ideologie, ricorda Maria Gabriella Alfano, presidente dell’Ordine: «Non sono certamente i fasci che incitano al ritorno al fascismo, dovremmo preoccuparci di ben altro. I colleghi hanno avuto la fortuna di trovare dei documenti preziosi, non si deve cancellare la storia».

Anche perchè, ricorda Giacomo Santoro di Arcan Salerno Cantieri & Architettura, «il periodo della furia iconoclasta immediatamente successivo alla caduta del regime fascista è finito da tempo e credo che ora ci sia il giusto distacco e la maturità per valutare quei segni come elementi decorativi di un periodo architettonico e non unicamente come simboli del regime fascista». Il rischio, però, è che qualcuno possa fraintendere: «non credo sia il caso ripristinarli - stigmatizza l’artista Pierpaolo Lista - specialmente in questo momento politico in cui la Lega usa linguaggi violenti e discriminatori contro immigrati e minoranze». Ne è convinto pure Giso Amendola, ordinario di Sociologia del diritto: «Se i fasci fossero ancora visibili, bisognerebbe tirarli giù, figuriamoci restaurarli». Quei bastoni di legno legati da strisce di cuoio sono, di fatto, una icona che divide: «Un conto è preservare la facciata, un conto è sottolineare delle icone - spiega Gennaro Avallone - docente universitario di Sociologia del territorio - Per un periodo il Diana è stato anche occupato da un laboratorio che si proponeva di costruire la partecipazione. C’è una evidente frattura tra un bene riappropriato ed un bene caratterizzato da un fascio littorio che evidenzia l’autoreferenzialità del rapporto architettura-giunta. Credo che invece servirebbe un maggiore confronto con i cittadini».

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