Famiglie benefattrici L’inchiesta scava sui rapporti finanziari

Molti assegni dati a monsignor Scarano portavano la firma di persone legate tra loro da stretti rapporti di parentela

Assegni firmati da più componenti di uno stesso nucleo familiare. Padri e figli, mogli e mariti, zii e nipoti: due, a volte anche tre persone, imparentate tra loro hanno firmato gli assegni grazie ai quali monsignor Nunzio Scarano ha potuto “chiudere” i conti con la società immobiliare che aveva costituito con un cugino e un altro socio. A fronte di una pluralità di assegni riconducibili ad una stessa famiglia, potrebbe tuttavia esserci un unico reale “benefattore”: è anche questo uno degli aspetti della vicenda giudiziaria che vede coinvolto il sacerdote salernitano sui quali la guardia di finanza sta cercando di far luce. Si vuole chiarire, infatti, i rapporti finanziari intercorsi tra le persone imparentate tra loro sia prima della firma degli assegni sia successivamente, quando in cambio dei titoli i firmatari si sono visti restituire denaro contante.

La vicenda su cui sta indaganto la procura salernitana – il fascicolo è stato aperto dal sostituto Elena Guarino – ha destato clamore soprattutto per le persone coinvolte: non solo il sacerdote che da anni svolge il suo ministero a Roma, ma anche tanti facoltosi professionisti. È a loro che, tre anni e mezzo fa, Scarano si sarebbe rivolto per mettere fine alla sua partecipazione alla società immobiliare “Nuova Luce”. Il monsignore, infatti, aveva la necessità di reperire 560mila euro per togliere l’ipoteca che era stata messa su un appartamento di sua proprietà come garanzia su un mutuo contratto dall’ immobiliare. La scelta di ricorrere all’aiuto di 56 amici disposti a versare assegni da 10mila euro facendoli figurare come donazioni sarebbe stata suggerita – secondo la versione di monsignor Scarano – dalla commercialista che all’epoca ne curava la contabilità. Ma non si sarebbe affatto trattato di atti di generosità compiuti dagli amici salernitani del sacerdote dal momento che la somma versata con assegni sarebbe stata restituita in contanti. Un doppio passaggio di denaro che ha fatto ipotizzare il reato di riciclaggio: secondo l’ipotesi accusatoria, infatti, gli assegni sarebbero serviti a coprire la reale provenienza dei soldi. Di certo, su questo aspetto, un approfondimento gli inquirenti hanno ritenuto che lo meritasse il collegamento con l’Apsa, l’organismo del Vaticano che si occupa dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Aposolica: fino a quando è scoppiata l’inchiesta, monsignor Scarano ricopriva il ruolo di addetto, ruolo che si era guadagnato anche in virtù della sua esperienza come funzionario di banca, maturata prima della decisione di prendere di essere ordinato sacerdote.