Falsa testimonianza: alla sbarra

Tre paganesi cercarono di scagionare gli imputati del processo Aziz-Cascetta

PAGANI. Tre paganesi affronteranno il processo, su decisione del gup di Salerno, Stefano Berni Canali, per aver reso falsa testimonianza nel corso del processo Aziz, con le dichiarazioni registrare in aula sul banco dei testimoni. I tre imputati, Alfonso Buonocore, Andrea Forino e Andrea Sciortino, sono accusati in concorso di aver detto il falso, con l’aggravante dell’articolo sette che punisce il metodo camorristico, nel corso del procedimento penale chiuso in secondo grado con tre ergastoli inflitti ai killer ritenuti esponenti del clan Fezza-Petrosino D’Auria: i paganesi Vincenzo Confessore, Andrea De Vivo e Francesco Fezza, responsabili per due diversi tribunali dell’agguato al tunisino Ben Aziz e ad Alessandro Cascetta, uccisi il 18 agosto del 2008 nel centro di Pagani.

In particolare Buonocore disse in aula che l’imputato De Vivo quel giorno era a casa della fidanzata a Casal Velino, mentre Forino, suocero di Francesco Fezza, disse che questi era impegnato in casa per dei lavori, circostanza confermata anche da Sciortino davanti alla Corte d’Assise. Il pubblico ministero antimafia Maurizio Cardea chiese per i tre testi portati in aula dalla difesa gli atti relativi alle deposizioni per false dichiarazioni. Quei verbali che riportavano quanto sostenuto in aula dai tre, per alleggerire dettagli e responsabilità. Contro Aziz, il tunisino obiettivo numero uno, nemico giurato dei tre esponenti del clan Fezza-D’Auria, e contro Alessandro Cascetta furono sparati 24 colpi. Stando alla testimonianza di Domenico Califano, autista di Confessore, risultata decisiva per entrambe le condanne, in attesa dell’udienza davanti alla Cassazione, i tre killer erano in sella a uno scooter che chiuse la strada ad Aziz e Cascetta prima della pioggia di fuoco. I sicari del clan vestivano tutti guanti bianchi e tute nere e indossavano caschi integrali.

Dopo l'omicidio i carabinieri si misero sulle tracce dei tre attuali imputati, con serrati controlli nell’ambiente delinquenziale di Pagani e le ricostruzioni della furiosa rissa in villa comunale avvenuta appena la sera prima, uno dei motivi della reazione del gruppo criminale. Il processo registrò le testimonianze dei collaboratori Vincenzo e Alfonso Greco, padre e figlio, di Eliodoro Santonicola, collaborante scafatese che conosceva di fama i nuovi elementi del clan, e dei due paganesi vicinissimi al gruppo, Califano, autista di Confessore, e Gerardo Baselice, custode di un deposito dove passavano armi e droga.

Alfonso T. Guerritore

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