Fallimento Alvi, Villaniconsegna il passaporto

Il passaporto e la carta di identità dell’ex presidente della Provincia di Salerno, Angelo Villani, sono nella mani della Procura. Consegnati direttamente dal suo legale di fiducia per ribadire «piena disponibilità a collaborare»

Da ieri il passaporto e la carta di identità dell’ex presidente della Provincia di Salerno Angelo Villani sono nella mani della Procura. Consegnati direttamente dal suo legale di fiducia, contestualmente al documento di nomina, per ribadire «piena disponibilità a collaborare».
Che la Procura di Salerno abbia aperto un’indagine sul crac finanziario dell’Alvi pare cosa ormai assodata. Un’azione di fatto obbligata, visto che i giudici della fallimentare hanno inviato gli atti ai loro colleghi perchè nel «contradditorio tra le parti sono emerse gravi notizie di reato». Perché, però, consegnare ai magistrati i propri documenti? La risposta più ovvia è che si vogliano mettere i giudici nelle condizioni di non riscontrare gli elementi fondanti per richiedere l’applicazione di eventuali misure cautelari. Perché se l’inquinamento delle prove e la reiterazione del reato, con un’azienda ormai fallita, non sembrano presupposti validi resta solo il terzo: la possibilità di fuga. Giocando d’anticipo, in pratica, si dice ai giudici: "Sono qui pronto a collaborare e non ho nessuna intenzione di scappare". Dal canto suo il legale di fiducia di Angelo Villani, l’avvocato Felice Lentini conferma la disponibilità ad una piena collaborazione. «Da parte nostra c’è la più ampia volontà di collaborare con i giudici e dimostrare che il mio assistito, per il suo ruolo di presidente della Provincia, negli ultimi sei anni non ha avuto nulla a che fare con le attività aziendali».
Eppure, secondo i giudici, potrebbero esserci responsabilità anche dell’ex presidente nel crac - che si aggira sui 160 milioni di euro - di uno degli ex giganti della grande distribuzione. E non solo il reato di bancarotta fraudolenta, ma anche quello di truffa potrebbe venire contestato sia ad Antonia Villani, amministratrice delegata della società ora in liquidazione, che, appunto, ad Angelo Villani. Perché potrebbe essere ritenuto quell’«amministratore di fatto» di cui il giudice fallimentare parla nelle quattordici pagine della sentenza in cui viene scritta la parola fine sull’impero di famiglia. Nella situazione fallimentare «di estrema gravità» si scrive nella sentenza ci sono diverse vicende che «comprovano l’inosservanza ai propri obblighi degli amministratori di diritto e di fatto», che tra l’altro, insieme ai liquidatori «non sono stati in grado di fronteggiare la crisi di cui avevano piena consapevolezza da tempo».
In particolare, tra le notizie di reato segnalate alla magistratura penale vi sono vicende «attinenti l’affitto di rami d’azienda senza rilascio di garanzie idonee e senza previo pagamento ai fornitori delle merci da loro fornite alla struttura centrale dell’Alvi spa e dalla medesima smistata ai negozi poi ceduti (allo stato soltanto in gestione) con la creazione di situazioni di crisi - quantomeno finanziaria - in capo ai fornitori».
I magistrati dovranno fare chiarezza sui motivi reali del fallimento, su quella crisi che ormai imperversava da tempo nel colosso distributivo dei Villani. Che pure aveva cercato di ottemperare in qualche modo, con 44 milioni di assegni emessi fino ad ottobre, per saldare i debiti verso i fornitori e pagare gli emolumenti ai dipendenti. Cifra che però non poteva riuscire a coprire il passivo che si era creato. Sempre nel capitolo "Notizie di reato" della sentenza di fallimento, i giudici fanno riferimento a una «vicenda di estrema gravità posta in essere dagli amministratori della società, senza alcuna consapevolezza della responsabilità connessa all’esercizio di una impresa datrice di lavoro direttamente e indirettamente a miglia di lavoratori».
Ora toccherà capire chi i magistrati iscriveranno nelle prossime ore nel registro degli indagati.