Faber e Corto Maltese in un calice tutto da gustare

Una coppia giovane e creativa ha saputo reinventare Fiano ed Aglianico

di Barbara Cangiano

Fino al 2000 il vino lo bevevano soltanto. Ascoltando De Andrè, mentre erano alle prese con i rispettivi tecnigrafi. Ma poi la loro vita è cambiata. Elisabetta Iuorio e Pasquale Mitrano (nella foto), professione architetti, hanno deciso di sporcarsi le mani con la terra e di lasciarsele colorare dal mosto, per trasferirsi, con i loro tre bambini, in una tenuta di famiglia dove la pietra si è fatta posto tra ulivi, agrumi e fichi. E’ il 2007 quando vedono la luce poco più di seimila bottiglie di Fiano ed Aglianico, i due vitigni principali di un’azienda che oggi sforna quasi trentamila esemplari che viaggiano tra New York, Tokyo e Parigi, lottando in un mercato salernitano contraddistinto da «una ristorazione ancora molto esterofila», spiega Pasquale. Ma Casebianche è un’etichetta che in pochi anni ha saputo conquistare il successo, intascando più di un riconoscimento e ritagliandosi un posticino importante nelle principali guide dedicate agli amanti del buon bere. Merito del “naso” dell’enologo Fortunato Sebastiano, ma soprattutto della passione che ancora oggi anima una coppia giovane e creativa, come i prodotti partoriti dalla cantina. Betty e Pasquale fanno tutto da soli: vestono i panni dell’operaio e quelli del direttore commerciale, con un occhio vigile ad una gestione aziendale rigorosamente agroecologica, fatta di concimazioni naturali (rame, zolfo e argilla per la difesa della vite) e ad un uso limitatissimo di solforosa. Dell’amore per la loro terra non ne fanno mistero. A partire dalla scelta dei nomi che contrassegnano le loro bottiglie. Cupersito, Aglianico Doc Cilento, ha infatti rubato l’identità «ad una antica località di Torchiara, che oggi si chiama Copersito, ma che negli antichi documenti viene menzionata come Cupersitum», racconta Pasquale. Dellemore Igt Paestum, un blend di Barbera, Aglianico, Piedirosso e Primitivo, trae invece spunto dalla vigna che lo produce, sdraiata nei pressi di un sentiero ubicato all’interno della comunità montana. Sui bianchi la musica è la stessa: Fiano, Malvasia e Trebbiano sono l’anima di Iscadoro: «Isca è un toponimo che contrassegna una piana fertile ed alluvionale - spiegano - Abbiamo aggiunto d’oro perchè secondo il colono che c’era prima nella tenuta, il vigneto da cui nascono queste uve è uno dei migliori». L’unico strappo alla regola è Cumalè, Fiano Igt Paestum. Se guardando l’etichetta vi sovviene il dialetto genovese, ci avete azzeccato. Se un ritornello vi risuona nelle orecchie, avete fatto centro, perchè l’ispirazione è quella di Dolcenera targata Faber (Amìala ch’a l’aria amìa cum’a l’è). «E’ una canzone a cui siamo molto legati e ci è sembrato giusto “consacrarla” con uno dei vini a cui siamo più legati», spiegano Betty e Pasquale che lasciano trasparire il loro background professionale nella scelta di un’etichetta dal segno grafico pulito e al tempo stesso incisivo. Nel nero di un rettangolo una linea disegna il profilo di una casa bianca, sulla cui cima svettano due lune. Che chi le abbia disegnate abbia bevuto un bicchiere di troppo? Anche. Ma la verità è che Pasquale, che è un fan sfegatato di Corto Maltese, ha voluto citare il paese del tango dove certe sere il cielo è illuminato da un doppio spicchio dorato che sorveglia l’eroe di rientro a Buenos Aires tra partite a biliardo, serate danzanti e la caccia ad una pericolosa coalizione di ruffiani. In un’azienda dove la tradizione contadina ha saputo coniugarsi con le nuove tecnologie ed una buona dose di cultura creativa, non poteva mancare uno spumante sui generis, la Matta, che già nel nome ricorda la cabala. «Non è stoccato, viene fatto lasciando i lieviti in bottiglia - spiegano - proprio come quando i contadini aggiungevano lo zucchero al vino per farlo fermentare». Il risultato? E’ stato già copiato in Veneto, dove lo spumante con il “fondo” è diventato l’aperitivo più trendy.

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