Ex Colonia, la Curia  dovrà risarcire l’erario 

Condanna della Corte dei conti per la restituzione di due milioni e 446mila euro Responsabili pure l’ex arcivescovo Pierro, don Comincio e l’architetto Sullutrone

Il finanziamento regionale incassato dalla Curia per l’Angellara home dovrà essere restituito all’erario. E a farlo, in solido, non saranno solo l’ex arcivescovo Gerardo Pierro e chi con lui istruì la pratica, ma anche la stessa Curia arcivescovile. Lo ha stabilito ieri la Corte dei conti, precisando che «sussiste la legittimazione passiva dell’Arcidiocesi, quale ente beneficiario dei contributi ed interessato alla relativa procedura, nonché a quella di esecuzione delle opere ammesse a contributo». La cifra del danno erariale è ingente: 2.446.723 euro, che costituiscono i fondi chiesti per l’ex colonia San Giuseppe e confluiti invece nella realizzazione di un albergo a quattro stelle che fu sequestrato dalla Guardia di Finanza. A essere condannati in solido alla restituzione, oltre a Diocesi e arcivescovo emerito, sono l’ex cerimoniere della Curia don Comincio Lanzara (nella qualità di amministratore del seminario “Colonia San Giuseppe” e amministratore unico dell’associazione “Villaggio San Giuseppe”) e Giovanni Sullutrone, presidente del consiglio d’amministrazione dell’associazione “Villaggio San Giuseppe”, progettista di una parte degli interventi e per un periodo anche direttore dei lavori nella struttura.
La condanna della Corte dei conti è conseguenza del processo penale istruito dal sostituto procuratore Roberto Penna. «Il presente giudizio – si legge nella sentenza – trae origine dall’accertamento, in sede penale, di abusi e irregolarità urbanistiche, nonché di ipotesi di truffa aggravata ai danni della Regione». Una valutazione che si ferma alla sentenza d’appello senza tener conto della Cassazione, che non si è pronunciata nel merito ma si è limitata a dichiarare la prescrizione, ritenendo che non potesse ritenersi evidente l’assenza di responsabilità degli imputati ma che nemmeno potesse dirsi manifestamente infondato il ricorso dei difensori. «Dalla sentenza penale di secondo grado – scrivono i giudici contabili – deve ritenersi che l’opera realizzata dal beneficiario del finanziamento era risultata del tutto incoerente rispetto alle finalità perseguite nell’accordo di programma». Una condotta dolosa, secondo la sentenza della Corte dei conti. E ai difensori non resta adesso che la strada dell’appello.
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