Estorsioni dal carcere: chiesti 70 anni

Nel mirino gli imprenditori della Piana. I “pizzini”uscivano dalle celle di Fuorni grazie ad un agente penitenziario

Estorsioni dal carcere: in undici ricorrono al rito abbreviato. Ieri la requisitoria del pm Rosa Volpe in sede di udienza preliminare (gup Sergio De Luca). L’accusa ha chiesto complessivamente più di 70 anni di carcere. Le pene più gravi ai capi dell’organizzazione che gestiva il pizzo dalle celle: 14 anni di reclusione a Antonio De Feo, 46 anni, e a Giuseppe Capo, 32 anni. Mano pesante del sostituto Volpe della Dda anche per la guardia carceraria Giovanni Arcaro, 54 anni, di Cava de’ Tirreni. Chiesti nove anni di carcere all’agente infedele che portava le lettere fuori dal penitenziario.

Nel corso della lunga requisitoria il pm Volpe ha chiesto di condannare a cinque anni Leonilda Curti, 31 anni, di Castel Volturno (Caserta), in passato legata sentimentalmente a Capo. Quattro anni e due mesi di reclusione sono stati chiesti, invece, per Michele Oscar Cafarelli, 48 anni, di Battipaglia. Per salernitano Raffaele Del Pizzo, 35 anni, Felice Carraturo, 31,e Rosario Di Biase, 26, di Pontecagnano, la richiesta di condanna è di quattro anni di carcere. Pene più basse, tre anni di reclusioni, per Giuseppe De Sio, 55 anni, e Lucia De Sio, 33, entrambi di Pontecagnano, suocero e moglie di Del Pizzo, il collaboratore di giustizia che ha svelato i segreti della “falla” nel penitenziario salernitano. Due anni e sei mesi, invece, sono stati proposti dall’accusa per Anna Iuliano, 39 anni, di Pontecagnano. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere finalizzata alle estorsioni, alla concussione e corruzione. Le parti torneranno in aula il mese prossimo quando sono previste le arringhe delle difese. Fanno parte del collegio difensivo, tra gli altri, gli avvocati Luigi Gargiulo, Paolo Toscano, Roberto Lanzi, Massimo Torre, e Orazio Tedesco.

L’inchiesta della Dda di Salerno partì dalle dichiarazioni del “pentito” Del Pizzo che rivelò come avvenivano le comunicazioni dal carcere e come entravano nella casa circondariale telefonini in uso ad alcuni detenuti. All’agente infedele la moglie di Del Pizzo – secondo l’ammissione alla Dda di Salerno del collaboratore – consegnò due assegni di cifre poco inferiori ai mille euro per far entrare in cella due cellulari e ricevere le comunicazioni dall’interno. Davanti alle titubanze della De Sio, arrivarono le rassicurazioni della Curti, all’epoca legata a Capo: «Sei da poco in questo “giro” – le disse – io parlo da tre anni con mio marito». Questa affermazione è per la Dda la prova che dal carcere il camorrista Capo, originario di Perito poteva comunicare all’esterno e impartire gli ordini per le estorsioni che avvenivano attraverso lettere, consegnate dal brigadiere della penitenziaria, ai gregari all’esterno del carcere. Dall’attività investigativa della squadra mobile di Salerno, guidata dal vicequestore Claudio De Salvo, emergono anche conferme di un’attività epistolare tra Capo e De Feo. Una delle lettere iniziava così: “Carissimo Gnore”. Dalle dichiarazioni dei “pentiti”, emergono i particolari delle estorsioni comandate dal carcere ai danni di un imprenditore del calcestruzzo e di come venivano giustificati gli assegni del pizzo con false fatture emesse dal titolare di un distributore di carburanti.

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