Esecuzione di Aziz, ora spunta D’Auria

Il boss paganese fornì assistenza “legale” a due killer del commando. Intanto fissata la data del processo in Cassazione

PAGANI. Il nome di Antonio Petrosino D’Auria, boss del clan Fezza-D’Auria, detenuto per traffico di stupefacenti, estorsioni e camorra, spunta ancora una volta nel duplice omicidio Aziz. Il gip che ha firmato gli arresti dell’operazione “Criniera” scrive di lui che «si interessò delle sorti processuali del cognato Francesco Fezza e di Vincenzo Confessore subito dopo l’ordinanza cautelare per il delitto Aziz-Cascetta. Ebbe per questo scopo incontri con un esperto d’armi e consulente della difesa nel processo». La circostanza, del tutto lecita, emerge dalle intercettazioni agli atti della richiesta cautelare presentata dalla Dda, in una telefonata del cinque novembre 2009, a confermare l’esistenza di solidi rapporti tra membri dello stesso clan. Pur in assenza di una sentenza che ne attesti struttura e status giuridico, aumentano gli elementi giudiziari contro il gruppo criminale paganese.

In particolare, D’Auria fu indagato per favoreggiamento in concorso nel processo Aziz, con deposito del fascicolo relativo da parte del Pm Maurizio Cardea all’atto della requisitoria, prima della sentenza di ergastolo contro i tre killer, Francesco Fezza, Vincenzo Confessore e Andrea De Vivo. I tre risultano esecutori materiali del delitto, descritto dai giudici di primo e secondo grado come un’azione di guerra, nel corso di un processo viziato da tentativi di inquinamento probatorio, subornazioni e momenti di tensione, con il pentimento lampo, poi rientrato, di uno dei figli del boss Tommaso Fezza, Salvatore, che per la corte fu minacciato da ambienti familiari affinché tacesse. Lui eseguì con un clamoroso dietrofront, ma gli atti della sua collaborazione illustrativa finirono nel processo, formando il convincimento della corte d’assise. L’iter del dibattimento fu costellato di colpi di scena, con un incidente probatorio decisivo e le parole di numerosi collaboratori, due dei quali fondamentali per costruire il quadro accusatorio.

L’autista e fido di Vincenzo Confessore, Domenico Califano, riferì dettagli e confidenze sul delitto. Nel corso degli anni di detenzione, il clan individuò in Confessore l’elemento debole della batteria di fuoco. Il gip ricorda in merito l’assunzione pianificata e imposta da parte di Antonio D’Auria della sorella di Confessore, non indagata, nella Lion’s Group, società con interessi del clan, “per fornire un supporto economico al fratello detenuto”.

Confessore, definito «molto vicino a Gioacchino D’Auria Petrosino nel periodo di tensione col gruppo criminale Contaldo», attende il terzo grado di giudizio per l’agguato controAziz e Cascetta nell’agosto 2008. La Cassazione esaminerà il processo il 12 maggio.

Alfonso T. Guerritore

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