L'OPINIONE

Epidemia e timori di contagio, ma questa non è la peste nera

di Andrea Marino*

L’epidemia non finirà tra quindici giorni. Nemmeno tra sei mesi. Non ci sono certezze per pensare che possa finire presto, nonostante quello che speriamo tutti. Eppure finirà. Un vaccino sarà trovato – presumibilmente tra 12 e 18 mesi – e in termini storici la durata e l’impatto del coronavirus sarà incomparabilmente inferiore a tante altre pandemie che hanno flagellato l’umanità fino ad oggi. Della peste, per esempio, si hanno notizie fin dall’epidemia che nel VI secolo partendo da Costantinopoli colpì tutto il bacino del Mediterraneo. In epoca più recente, quella di cui abbiamo maggiori notizie, è la devastante peste nera del XIV secolo che, giunta in Europa nel 1347, flagellò il continente fino al 1353 arrivando a sterminarne un terzo della popolazione, più di 30 milioni di vittime. Da quel momento il patogeno continuò a ripresentarsi a cadenza regolare e per circa cinque secoli l’umanità dovette fare i conti con una malattia contro cui, almeno inizialmente, non si aveva alcuna conoscenza. Ieri, come oggi, la prima reazione fu di terrore irrazionale. Niente di sorprendete.

La paura è connaturata alla natura umana e non è sempre negativa. Nel 1651, infatti, Thomas Hobbes pubblicava il Leviatano, nel quale ci spiegava come la paura fosse stata una leva positiva spingendo gli uomini a adottare una serie di misure razionali per aumentare la sicurezza reciproca attraverso la garanzia delle strutture sociali. All’epoca della peste nera medici e autorità sanitarie non possedevano conoscenze sufficienti per identificarne la cagione e i rimedi. Inizialmente, nel panico generalizzato, se ne attribuì la causa a un’imperscrutabile volontà divina, oppure la popolazione in cerca di una spiegazione rassicurante arrivò a ritenere responsabili gli ebrei che “avvelenavano i pozzi” dando origine a tragiche persecuzioni. Solo col tempo le autorità compresero che il contagio dipendeva dalla trasmissione dei batteri e cominciarono a combatterlo con ordinanze e regolamenti atti a prevenire e curare gli effetti dell’epidemia, limitando i movimenti di merci e persone, e istituendo le quarantene. Oggi abbiamo strumenti e conoscenze mediche straordinariamente superiori. Soprattutto il coronavirus non è la peste nera. La paura è legittima, il contagio esiste e non si fermerà tra qualche giorno. Però, quella paura va contestualizzata al rischio ed è sicuramente giusto adottare delle norme di sicurezza di contenimento del virus, come è stato in ogni epoca storica.

Dobbiamo fare di tutto per rallentare i contagi ma è possibile mettere in pausa le nostre vite? Dobbiamo essere responsabili con i nostri comportamenti, soprattutto se pensiamo di avere dei sintomi, ma possiamo smettere del tutto di uscire di casa? Dobbiamo, insomma, trovare un punto d’equilibrio. Non è semplice, lo dimostrano la confusione delle prime scelte governative o semplicemente della Lega Calcio. Eppure, la storia ci racconta che un punto d’equilibrio tra paura e la necessità di ritornare a una vita normale è sempre stato trovato. Presto – e nella nostra epoca anche piuttosto rapidamente – saremo in grado di trovare una cura. Intanto le reazioni al coronavirus ci aiuteranno a scoprire chi siamo, sperando di scoprirci migliori dei nostri antenati che cercavano colpevoli tra gli avvelenatori dei pozzi.

*Storico, autore de La Campania dei partiti. Stato centrale e poteri locali