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Enzo Avitabile: Nuovo disco? con Rocco Hunt

La prossima fermata del suo “Soul Express” è il cratere del Vesuvio in occasione del Festival Jazz di Pomigliano 

SALERNO. «Io voglio essere musica e stare nella musica. Essere una canna al vento che dà il proprio contributo, esserci nella maniera più autentica»: Enzo Avitabile è sempre alla ricerca di nuovi posti per i suoi suoni dal mondo che da decenni mescola per consegnarceli in una lingua tutta sua. La prossima fermata del suo “Soul Express” è il cratere del Vesuvio in cui suonerà a quota 1200 metri, mercoledì, al tramonto. Il concerto, “Vesuvius ascension”, rientra nell’ambito del Pomigliano Jazz Festival e vedrà Avitabile suonare in quartetto acustico con Rino Zurzolo, Ashraf Sharif e Gianluigi Di Fenza.

Cosa rappresenta per lei il Vesuvio? Una sfida?

«È un amico imprescindibile, non potrei mai pensare di svegliarmi e non trovarlo ma è anche un pericolo che incombe come una spada di Damocle. Illuminare senza bruciarsi è il senso di un concerto nato per questo evento. Sarà anche l’occasione per festeggiare i 50 anni di “Ascension”, il disco di John Coltrane a cui è dedicato. Lui è stato una delle prime pietre di distacco dal codice del jazz che è anche memoria storica ma soprattutto il suono che ti viene, che nasce senza definizione. Coltrane è stato il pioniere di questa sperimentazione».

È un momento buono per il jazz campano?

«C’è fermento, c’è fusione e trasmissione storica del jazz da parte di grandi musicisti, sia nel Napoletano sia nel Salernitano. Penso a Daniele Scannapieco, Giulio Martino, Marco Zurzolo, Jerry Popolo che suonano bebop ma lo rielaborano. Vengono dal conservatorio ma ognuno di loro ha cercato il suo percorso. Io credo in un jazz campano che ha una sua caratteristica, sia che si avvicina ai codici ma anche quando non lo fa».

Perché accade, secondo lei? Sono due mondi simili?

«Il jazz si è insediato nel dopoguerra e ci ha contagiati. Dai tempi di Carosone e degli Showman abbiamo cercato un linguaggio. Io cerco di andare oltre le definizioni, suono con libertà, scrivo le musiche i testi e me le canto. Scrivo anche le parti per orchestra quando mi muovo nel mondo sinfonico tra jazz e non jazz. Credo nel recupero di tutte le forme ma non per recuperare i contenitori in sé: penso ai mottetti a cui mi sono dedicato negli ultimi tempi. Cerco di smontare questa forma e ne ricavo una nuova identità che conserva il significato di una nuova possibilità sonora, citando Carmelo Bene, attraverso il significante».

Quindi, si è avvicinato al rap per cercare altre possibilità di espressione?

«Rocchino, Clemente e gli altri fanno parte del mio karma degli incontri. Io sognavo di conoscere Tina Turner, James Brown, Afrika Bambataa e alla fine è successo. Ogni desiderio è un’illuminazione. Sono nato in una terra marginale, fuori di vista, che niscun’ a vede. Lì hai tre possibilità e mi dispiace smentire Gomorra: puoi desiderare fortemente, studiare molto e pregare uscendo da ogni sorte di distinzione. Sono cristiano e lo sanno tutti ma non ammetto separazioni, conta il contatto con l’Universo. Bisogna capire qual è il desiderio che si ha nel cuore e proiettare sullo schermo della vita l’immagine di ciò che vuoi raggiungere».

Il 5 ottobre esce il suo disco nuovo con la Sony, ci sarà anche Rocco Hunt?

«Non posso anticiparle nulla ma posso dirle che ho rapporti anche nel quotidiano con Rocco e Clemente. A prescindere dall’età sono miei amici come se fossero coetanei. Non ho fatto nessuna analisi di questa connessione generazionale, è spontanea e mi rendo conto di essere più grande: difficilmente mi vedrà vestito come loro ma le garantisco che dentro il contenuto è molto simile».

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