L'EDITORIALE

Elezioni 2020, la sfida del cambiamento: non si vince con il bonus

Ben tre aspiranti alla presidenza della Giunta regionale sono gli stessi di cinque anni fa

Le scuderie, cinque anni fa, erano diverse, ma la corsa eguale. Ben tre aspiranti alla presidenza della Giunta regionale sono gli stessi di cinque anni fa: De Luca, Caldoro e Ciarambino. Gli stessi cognomi in un contesto politico diverso: De Luca, governatore uscente, ora forte del consenso guadagnato nella gestione dell’emergenza Covid; Caldoro, riproposto da una coalizione che cinque anni era a trazione berlusconiana ed ora, invece, è guidata da Salvini e Meloni; Ciarambino, figlia delle Cinque Stelle sempre meno splendenti rispetto all’exploit politico di due anni fa.

Se i corridori sono eguali, il contesto politico è profondamente diverso. Per tutti, compresi per gli altri aspiranti alla presidenza. Eppure c’è una sfida apparentemente lontana, seppur di ineludibile rilevanza, che è tutta in un interrogativo. Come si conciliano i toni, anche velenosi, delle prime battute elettorali per la conquista della più grande Regione del Sud Italia con il linguaggio politico da lectio magistralis esibito al meeting di Rimini da Mario Draghi che indica alla classe dirigente politica, e non solo, una credibile direttrice di marcia nell’opera di ricostruzione nazionale o, come preferisce chiamarla, nella «inevitabilità del cambiamento da accettare con realismo»?

Sullo sfondo, e non solo per le stesse scuderie di cinque anni fa, c’è la sensazione che i protagonisti siano convinti di giocare la stessa partita senza rendersi conto che il tessuto sociale è percorso, in un modo assai diffuso, dalla paura, dall’avvilimento delle migliori qualità individuali e dalla grande fuga delle energie giovanili dall’impegno politico, come ha fatto rilevare lo stesso presidente De Luca ricevendo a Morra De Sanctis la cittadinanza onoraria del paese natio del grande Francesco De Sanctis. Nasce anche da questa ineludibile realtà il nesso profondo che oggi lega l’avarizia riformatrice, coltivata per decenni con ideologismi consunti o ridondanze retoriche giovaniliste esasperate fino al fanatismo del cambiamento senza pensiero e senza regole, al negato ricambio generazionale. Basterebbe passare al setaccio alcuni nomi, messi in bella mostra nelle liste regionali, per capire quanto abbiano ragione i giovani a rifuggire dall’impegno civile e, soprattutto, quanto sarà difficile adeguare il linguaggio elettorale rispetto ad un cambiamento epocale.

«Nulla sarà più come prima, per questo bisogna avere il coraggio di cambiare», ha detto Draghi nella lectio di Rimini, invitando tutti a mettere in discussione se stessi nel rapporto post-pandemia tra la vita e la politica, tra la politica e la gente, o meglio, il popolo, cioè quelle persone umane che si assumono rischi, accettano rinunce, declinano speranze e che mai giocano la loro partita esistenziale dentro le convenienze. Nulla sarà come prima, o dovrebbe esserlo, perché la misura della politica sarà, o dovrebbe essere, il “fare”, il “costruire” e “realizzare”, non solo contestare o declamare apparendo in tecnicolor sui cartelloni ”sei per tre”.

Ecco perché il vero vincitore della partita politica per il nuovo governo regionale (pur con tutti i sondaggi favorevoli a De Luca) sarà chi si presenterà al cittadino non nelle vesti di un campione dell’accomodamento dietro simboli politici passeggeri, o del perfetto catalizzatore di una variegata coalizione, ma come possibile uomo del cambiamento, del “nulla sarà più come prima”. Fuori le idee, non le chiacchiere. E che tutti i candidati, innanzitutto, dicano cosa hanno fatto prima nelle loro vite. Perché nulla sia come prima. Stavolta i fortunati del vitalizio non possono vincere con un bonus.