SOS VIOLENZA

Eboli, pusher pugnalato: mistero sull’agguato

Lo spacciatore in ospedale si giustifica: «Sono caduto dalle scale»

EBOLI - Giunto al Pronto soccorso, ha chiesto aiuto: «Aiutatemi, sono caduto dalla scale». I medici hanno capito subito: l’uomo che chiedeva aiuto stava mentendo. Dalle scale, non era caduto. Aveva una ferita sotto il braccio, nella zona ascellare. Un fendente che non era andto in profondità, secondo un primo esame esterno dello squarcio. Non era una caduta, era un’aggressione. Non era scivolato per le scale, il paziente era stato pugnalato. Controllando il suo nome sui social, i medici hanno scoperto che si trattava di un pregiudicato, con precedenti penali per spaccio di droga. A quel punto, i pochi dubbi sulla bugia sono evaporati. Il paziente stava mentendo.

Non è il primo caso, non sarà l’ultimo. I camici bianchi bianchi si sono affrettati ad avviare il protocollo medico per aiutarlo. La ferita è stata ripulita e disinfettata. Poi il pregiudicato è stato trasferito in Radiologia, in uno stato alcolemico evidentemente alterato a occhio nudo e a olfatto di prossimità. Il trentatreenne originario di Serre ma residente a Eboli da tempo ha dialogato con i radiologi, confermando il suo racconto poco credibile: «Sono caduto dalle scale». I tecnici hanno effettuato le radiografie, escludendo lesioni agli organi interni. La tensione è scomparsa. Il paziente era fuori pericolo, poteva anche tornare a casa. Ma non è stato dimesso subito. I camici bianchilo hanno tenuto in sala d’attesa per capire la reazione al fendente.

A notte inoltrata, poi, è arrivata la chiamata del medico e dell’infermiere. «Firmi pure, lei può andare ». Resterà probabilmente un mistero su chi abbia aggredito il pusher di 33 anni, perché è fuor di dubbio che sia difficilissimo, se non impossibile, procurarsi una ferita da taglio sotto un’ascella cadendo dalle scale di casa. O da qualsiasi altra scala in realtà. Fatto sta che l’uomo non è nuovo alle cronache giudiziarie cittadine. Anche se da tempo sembrava essersi allontanato da certi ambienti. O perlomeno non vi erano novità sul suo conto. Dieci anni fa era stato arrestato e poi processato per aver fatto parte di una rete di spaccio che aveva la propria base a “Fort Apache”, nelle palazzine popolari del rione Borgo. Dopo la retata era arrivato il processo. Davanti ai giudici erano finiti quindici pusher.

A gestire la piazza di spaccio, che forniva soprattutto cocaina e hascisc erano tre persone di una stessa famiglia, capeggiati, a quanto accertarono i giudici dell’inchiesta, da una donna residente a Piazza Borgo. Un giro di spaccio da migliaia di euro, con almeno una cinquantina di dosi smerciate ogni giorno. Fu proprio quell’operazione che rese chiari i legami tra gli spacciatori delle palazzine popolari ebolitane e quelli dell’hinterland napoletano, acclarando i legami con fornitori di Torre Annunziata, Scampia e Castellamare di Stabia. L’aggressione misteriosa di domenica sera potrebbe far pensare ad una nuova guerra per il controllo delle piazze di spaccio in città. O magari si tratta soltanto di un regolamento di conti di natura privata.

Stefania Battista