l'inchiesta

Eboli, gli schiavi del lavoro in "vendita" sulla litoranea

Un nostro inviato all’alba con gli immigrati sulla strada dove i caporali raccattano manodopera a basso costo: 30 euro per dieci ore nei campi

EBOLI. È ancora buio quando percorrono in bici la strada provinciale che conduce da Santa Cecilia ad Eboli. Incappucciati per il freddo, qualcuno indossa una pettorina catarifrangente, molti, quasi tutti, vestiti di scuro, quasi invisibili, intenti a pedalare per raggiungere il campo dove trascorreranno dalle 8 alle 10 ore di lavoro. Solo loro, gli “invisibili”, gli sfruttati. Pochi hanno la fortuna di vivere al centro di Santa Cecilia, la maggior parte arrivano dalla litoranea: magrebini, rumeni, non c’è nazionalità, non ci sono volti ma solo braccia buone per i campi. La gran parte arrivano dalla baraccopoli di Campolongo: all'alba sono già per le strade in cerca di lavoro, del loro “caporale”.

La gran parte arrivano dalla baraccopoli di Campolongo: all'alba sono già per le strade in cerca di lavoro, del loro “caporale”. Sono da poco trascorse le sei, quando dalle stradine intitolate ai grandi della storia, sbucano alla spicciolata marocchini e rumeni per posizionarsi lungo la pista ciclabile, su quello che resta della staccionata in legno diventata una panchina.

Lì c’è anche Norddine, 30 anni, è arrivato dal Marocco su un barcone. Lui già conosce l’Italia, ha già vissuto Eboli e lo sgombero di San Nicola Varco nel 2009. Allora scelse il rimpatrio, gli furono dati 2500 euro, tornò a casa ma poi l’anno scorso è dovuto ritornare da clandestino perché quel “bonus” lo obbligava a non rimettere più piede in Italia per i prossimi 10 anni: «io volevo rimanere in Marocco – racconta Nardinne – mi sono sposato, ho una famiglia, ma non abbiamo di che vivere». Non ha avuto altra scelta, è dovuto tornare, ha affrontato un viaggio rischioso per vivere in una baracca con alcuni connazionali.
Mentre Nardinne ci racconta il suo ritorno in Italia, arriva un suo amico, si accendono una sigaretta e sorridono, con rassegnazione. Per fortuna oggi già sanno quale sarà la loro giornata, il loro caporale li ha piazzati nella raccolta dei cavolfiori. Fino a dieci ore di lavoro, sole o pioggia non importa, ma a Nardinne va bene così: «guadagniamo dai 28 ai 30 euro al giorno – spiega – perché il raccolto è più pesante, altrimenti anche meno». Nessun contributo, sono clandestini; e se vogliono lavorare devono sottomettersi al caporale, un loro connazionale: «per trovarci il lavoro ci chiedono fino a 4 euro al giorno – racconta l’amico – in più c’è il costo del trasporto un altro euro».

Mentre Nardinne e l’amico ci raccontano la loro vita arrivano i primi furgoncini bianchi: a bordo decine di marocchini e rumeni stipati, qualcuno caricato nel vano bagagli: è in piedi ma paga lo stesso.
La litoranea di Eboli è trafficata, auto, furgoni che sfrecciano per raccogliere il più velocemente possibile le braccia richieste dall’impresa. I caporali già sanno dove fermarsi, una sosta veloce, qualcuno fischia perché rimasto indietro rischia di perdere il trasporto. Nardinne resta fermo, lui, ci dice, aspetta un ‘amico’ che lo passerà a prendere: «quando sono venuto la prima volta era un po’ più facile trovare lavoro – ricorda il 30enne magrebino – oggi anche qui è difficile lavorare, per la crisi e perché siamo in tanti nonostante la paga».

Ogni mattina si mettono in fila sulla litoranea o nella piazzetta di Santa Cecilia. Dalle cinque e mezza in poi. Lavorano in media 15-20 giorni al mese. Alcuni non escono nei campi per settimane. Ma perché non se ne vanno allora, se qui non c'è lavoro? Nardinne risponde sempre con il suo sorriso amaro: «andare dove?». Non hanno prospettiva.

Ad accompagnarci nel nostro viaggio tra gli invisibili il segretario provinciale della Cgil, Anselmo Botte, e la responsabile della Flai- Cgil, Giovanna Basile: distribuiscono volantini multilingue con la tabella paga. Nardinne lo prende, lo legge, è in arabo e comprende quali siano i suoi diritti ma sa che qui, sul litorale ebolitano poco può fare: «molto spesso usciamo alle 5 del mattino per distribuire i volantini ed è sempre la stessa storia – racconta Botte - ci sono furgoni che vanno avanti e indietro, a bordo solo caporali stranieri. Noi facciamo quest’attività di contrasto, però non abbiamo gli strumenti per intervenire». È ancora presto ma il sole è già alto: arriva l’auto che porta via Nardinne. La litoranea si spopola fino a sera quando i furgoni dei caporali torneranno per scaricare gli schiavi, gli invisibili.

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