Droga, racket e azzardo Eredi del boss alla sbarra

Clan Pecoraro: verso il processo 34 persone legate al capozona Biagio Giffoni Archiviata l’accusa di favoreggiamento per il patron de “La Contadina”, Di Masi

In 34 rischiano il processo nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia sul clan che nella prima metà degli anni Duemila ha monopolizzato nella Piana del Sele gli affari legati a droga, estorsioni e gioco d’azzardo. Dopo aver firmato a febbraio l’avviso di conclusione delle indagini, il sostituto procuratore Vincenzo Senatore si prepara a formalizzare la richiesta di rinvio a giudizio, ma dall’indagine sono uscite intanto quattro persone. Due sono decedute (Felice Noschese e Giuseppe Guastafierro) mentre per altre due il giudice delle indagini preliminari ha firmato, su richiesta degli inquirenti, il provvedimento di archiviazione. Finisce così il procedimento giudiziario per Alessandra De Toma, originaria di Milano, che era rimasta coinvolta per questioni legate allo spaccio di hashish; e si archiviano pure le accuse nei confronti dell’imprenditore Alessandro Di Masi di Altavilla Silentina, che era finito sotto inchiesta per aver negato di aver subito estorsioni nel suo caseificio “La contadina”. Difeso dall’avvocato Orazio Tedesco, Di Masi era stato ascoltato dagli inquirenti già nel febbraio del 2005, quando aveva negato sia di aver ricevuto richieste estorsive sia di aver subìto danneggiamenti e anche di aver mai parlato con le persone accusate di far parte del clan. Da qui l’accusa di favoreggiamento, già in nuce quando l’imprenditore è stato sentito una seconda volta, nell’ottobre dello scorso anno, ma sempre come persona informata dei fatti e quindi senza le garanzie difensive dovute agli indagati. Fatto sta che dopo l’avviso di conclusione delle indagini il magistrato ha ritenuto di poter formulare nei suoi confronti una richiesta di archiviazione, che il gip ha recepito.

Prima della fine dell’anno potrebbe invece essere fissata l’udienza preliminare per gli altri indagati, tra cui il boss Biagio Giffoni, i fratelli Enrico e Sergio Bisogni e Sabino De Maio, che in quegli anni stavano raccogliendo l’eredità del clan Pecoraro. L’organizzazione aveva la sua attività principale nel racket: richieste estorsive che superavano i 60mila euro all’anno, dilazionati tra le festività di Natale, Pasqua e Ferragosto. Gli incaricati del clan arrivavano puntuali, chiedevano sostegno economico per detenuti e latitanti, imponevano versamenti periodici a imprese, centri medici accorsati, titolari di autofficine e negozi di telefonia. Poi c’erano i cantieri pubblici: gli inquirenti hanno ricostruito una sequela di attentati incendiari a ditte impegnate sulla Salerno-Reggio o nella realizzazione, a Battipaglia, di strade e marciapiedi. Si bruciavano escavatori e macchine operatrici, talvolta si esplodevano colpi di pistola. Un impiegato comunale, oltre a fornire dritte sugli appalti, avrebbe avvicinato per primo gli imprenditori a cui si sarebbe poi imposto il “pizzo”.

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